Come e perché usare un linguaggio neutrale

Quella che segue è un’introduzione all’utilizzo del linguaggio neutrale nella lingua italiana. Per linguaggio neutrale si intende una modalità espressiva che possa andare oltre l’utilizzo esclusivo del femminile e del maschile per riferirsi alle persone.

La lingua italiana formale rispecchia il binarismo di genere, ovvero la classificazione delle persone sulla base della forma dei genitali esterni in uno dei due generi mutuamente escludenti: il femminile e il maschile. Si avverte pertanto la necessità di sviluppare delle strategie espressive alternative, poiché abbattere le barriere linguistiche è un passo importante per abbattere le barriere relative al genere.

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Di frequente, nel rivolgersi a qualcunə, si utilizzano il maschile o il femminile basandosi su una prima impressione approssimativa dell’aspetto fisico o della sua espressione di genere.

Così facendo non si tiene conto del fatto che il sesso si riferisce unicamente a differenze di tipo biologico/anatomico, mentre il genere è un costrutto socio-culturale, e l’identità di genere è la percezione che ogni persona ha di sé in relazione all’adesione ad uno, entrambi, o nessuno, dei generi.Non c’è una corrispondenza obbligatoria tra sesso, genere e identità, così come può non esserci una corrispondenza obbligatoria con i pronomi utilizzati.

Pronomi e lingua italiana

I pronomi sono intesi, in questo contesto, in riferimento alla preferenza che ogni persona ha, per il modo in cui ci si rivolge a lei. Alcune persone utilizzano i pronomi femminili o maschili (lei o lui, e in inglese she/her o he/him). Alcune persone usano una sola serie di pronomi per riferirsi a sé stesse (lei o lui), altre usano più pronomi (lei/loro, alternare tra lei e lui, o qualsiasi pronome) e alcune non usano alcun pronome (preferendo il nome proprio), o utilizzano neopronomi neutri come ləi. I pronomi utilizzati ci aiutano a capire se le persone per riferirsi a loro stesse usano il femminile, il maschile, entrambi, o nessuno e a declinare il linguaggio di conseguenza

L’italiano è una lingua flessiva e, oltre ai pronomi, anche i sostantivi, gli articoli, gli aggettivi, e alcuni tempi verbali sono declinati per genere. Questo evidenzia una mancata rappresentazione a livello sintattico, come a livello sociale, di chi non appartiene o non sente di appartenere a una delle due categorie.

Esistono alcune strategie per sostituire nei testi scritti le vocali genderizzate (come “a” e “o” ) con segni grafici come la chiocciola @, l’asterisco *, la schwa ə, e per il plurale la schwa lunga ɜ, al fine di usare un linguaggio inclusivo. Questo avviene anche in altre lingue con modalità diverse.

Nel parlato, adottare un linguaggio neutro quando si parla di/con altre persone può risultare ancora ostico. Per moltɜ risulta strano “troncare” le parole omettendo l’ultima lettera, o utilizzare la schwa pronunciata come una vocale “muta” e gutturale.

Pronomi e identità

Molte persone con un’identità di genere non binaria scelgono di esprimerla attraverso l’uso dei pronomi neutri. In altre lingue questo è diffuso o agevolato, ad esempio dall’utilizzo di diversi pronomi e neopronomi.

Occorre però ricordare che i pronomi non sono necessariamente un indicatore dell’identità della persona.

Non tutte le persone non binarie, ad esempio, usano i pronomi neutri. Alcune persone non binarie alternano tra pronomi maschili e femminili, altre scelgono quelli in cui si riconoscono di più.Viceversa, non è necessario che una persona si riconosca come transgender o non binaria per scegliere di utilizzare i pronomi neutri. Una persona potrebbe essere in fase di questioning, cioè interrogarsi sulla propria identità di genere, potrebbe identificarsi come cisgender o non cisgender e riconoscersi nei pronomi neutri.

Perché è importante rispettare i pronomi utilizzati?

È ormai comprovato come il tentativo di racchiudere le identità di genere e sessuali in due poli opposti ed esclusivi, non si sia dimostrato sufficiente. Sebbene i pronomi non siano necessariamente allineati con l’identità di genere, possono dare modo alle persone di affermare e comunicare la propria identità e/o espressione di genere.

Quando si utilizza un pronome, articolo o desinenza errate (il cosiddetto misgendering) parlando con qualcunə, questə può sentirsi in difficoltà, imbarazzata, o persino invalidata rispetto alla propria identità/esistenza: dover correggere o ricordare i propri pronomi di frequente comporta un importante carico emotivo e cognitivo.

È auspicabile evitare di mettere le persone nella condizione di dover correggere i pronomi che si usano per rivolgersi a loro. 

Prestare attenzione ai pronomi utilizzati dalle persone è una piccola accortezza che può avere un risvolto molto profondo: per molte persone il semplice fatto di essere chiamate con i pronomi corretti può essere valorizzante e farle sentire viste e rispettate per come sono.

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Esempi pratici 

Come fare quando non si conoscono i pronomi utilizzati, o si vuole utilizzare un linguaggio neutro?

Bastano alcune strategie per aggirare l’obbligo di usare uno dei due generi. Inoltre, nella lingua italiana, esistono già strutture verbali che non implicano l’uso del genere nella loro forma originale, e che quindi non richiedono alcuna modifica.

Ecco alcuni esempio per rendere più neutre frasi di uso comune.

  1. Utilizzare il nome della persona:

È per lui/lei → È per Ale

Lei/lui ha già pagato → Ale ha già pagato

  1. Selezionare strutture verbali che non implicano un genere

Ti sei divertita/divertito? → È stato divertente?

Ti sei spaventato/spaventata? → Hai avuto paura?

È molto esperta/esperto →  Ha molta esperienza

  1. Utilizzare la schwa o “troncare” la vocale

Sei stanco/stanca? → Sei stancə? Sei stanc?

  1. Chiamare, indicare, o descrivere senza utilizzare un pronome: l’importanza della persona

Lui/lei ha dimenticato lo zaino → Quella persona ha dimenticato lo zaino

Chiediamolo a quell’uomo/quella donna → Chiediamolo alla persona che ha appena parlato/la persona con la camicia rossa/la persona vicino al tavolo

  1. Utilizzare pronomi relativi e interrogativi che non hanno un genere, come ad esempio “chi”

Guarda, arrivano le ragazze/i ragazzi! → Guarda chi arriva!

Ti ha accolto lui/lei? →  Chi ti ha accolto?

In conclusione, è importante non dare per scontato quali siano i pronomi con cui una persona si riconosce.

Per alcune persone i pronomi sono sempre gli stessi, per altre cambiano in base alla giornata, alla fase della vita, oppure ai contesti (ci sono alcuni contesti in cui utilizzare i propri pronomi non è percepito come sicuro). 

Il modo migliore per capire che pronomi utilizzare, è quello di non dare nulla per scontato e ascoltare il modo in cui la persona usa i pronomi per riferirsi a se stessa in ciascun contesto. Se non c’è occasione di dedurre i pronomi si può chiedere educatamente quali utilizzare, o utilizzare strategie che evitino di dover scegliere arbitrariamente tra maschile e femminilie.

Usare un linguaggio e dei pronomi neutri, quando appropriato, ha un risvolto positivo immediato in quanto è una dimostrazione di rispetto per la persona a cui ci rivolgiamo ed è stato dimostrato che contribuisce a diminuire pregiudizi e atteggiamenti discriminatori nei confronti delle donne e delle persone non binarie. Infine, inserire pronomi neutri nel linguaggio può avere anche valenza simbolica perché significa rende possibile rappresentare la pluralità dell’identità.

Glossario

Identità di genere: Senso intimo, profondo e soggettivo di appartenere o relazionarsi al genere o ai generi. Può essere stabile o cambiare nel tempo.

Transgender: Persona la cui identità di genere non si allinea con il sesso assegnato alla nascita. Alcune persone transgender si identificano con il genere opposto a quello di nascita, ma il termine comprende anche coloro la cui identità di genere va oltre il binarismo maschile-femminile che si riconoscono in questa definizione.

Cisgender: Persona la cui identità di genere si allinea con il sesso assegnato alla nascita.

Identità non binaria: Identità di genere che va oltre la tradizionale dicotomia di genere e comprende un’ampia gamma di identità che non si allineano esclusivamente come uomo o donna.

Lingua genderizzata: L’italiano è una lingua flessiva con due soli generi, il maschile e il femminile, e in caso di moltitudini miste prevede che si ricorra al maschile sovraesteso.

Questioning: Processo di ricerca personale durante il quale ci si interroga sulla propria identità sessuale o di genere, senza ancora averla chiaramente definita, in cui si può sperimentare e/o porsi domande al fine di comprendere meglio.

Misgendering: L’uso di pronomi e categorie di genere scorrette quando ci si rivolge a un’altra persona. È stato definito come un atto microaggressivo.

Neopronomi: Neologismi che differiscono dai pronomi più comunemente usati in una determinata lingua. Esempi di neopronomi  in inglese sono: xe/xir/xirs, ze/zir/zirs.

Pronomi neutri: Scelta linguistica che non presenta connotazioni di genere, e permette di riferirsi a una persona senza dover assumere un genere specifico.

Bibliografia

  • Comandini, G. « : Indagine Su Un Corpus Di Italiano Scritto Informale Sul Web». Testo E Senso, n. 23, dicembre 2021, pagg. 43-64, https://testoesenso.it/index.php/testoesenso/article/view/524.
  • Lewis, M., Lupyan, G. Gender stereotypes are reflected in the distributional structure of 25 languages. Nat Hum Behav 4, 1021–1028 (2020). https://doi.org/10.1038/s41562-020-0918-6
  • Lubello S., Nobili C., L’italiano e le sue varietà, Firenze, Franco Cesati Editore, 2018.
  • Marotta, I., & Salvatore, M. (2016). Un linguaggio più inclusivo? Rischi e asterischi nella lingua italiana. gender/sexuality/italy, 3, 1-15.
  • Tavits, M., & Pérez, E. O. (2019). Language influences mass opinion toward gender and LGBT equality. Proceedings of the National Academy of Sciences, 116(34), 16781-16786.

Monogamia: è davvero l’unica soluzione?

Uno dei costrutti sociali meno indagati nella nostra cultura è la monogamia. Il fatto che le persone siano monogame è quasi sempre una considerazione consolidata come ovvia, sia in psicologia che nella cultura generale.

DiversЗ autorЗ hanno evidenziato come, nelle culture occidentali odierne, la monogamia sia uno degli aspetti considerati più normali e ideali nella sessualità umana.

La monogamia nella nostra cultura è percepita come perenne e naturale, tuttavia, una rapida rassegna della storia indica che questo stile relazionale è un fenomeno piuttosto recente. Osservando le diverse culture nel mondo nei vari periodi storici emerge infatti che le pratiche monogame in realtà non sono la norma ma un’eccezione. Nonostante ciò, la monogamia non solo viene considerata come normale, ma anche una scelta di tipo ottimale.  

Anche in ambito psicologico molte prospettive implicano, più o meno esplicitamente, che le relazioni monogame siano lo standard o l’ideale. Queste convinzioni permangono nonostante i tassi di tradimento in relazioni definite monogame si attestino tra il 60 e il 70 per cento. 

Tra gli stili relazionali diversi dalla monogamia vi sono le non-monogamie consensuali, che identificano l’insieme delle forme in cui è presente un accordo per cui lЗ partner definiscono accettabile avere più di una relazione sessuale o romantica contemporaneamente.

Ricerche recenti indicano che le relazioni non-monogame consensuali sono una categoria eterogenea, che include una serie di accordi di relazione relativi a: vari tipi di rapporti intrapresi, gradi di trasparenza nella condivisione, termini specifici di condotta concordati o la loro mancanza.

Uno degli elementi che ha il potenziale di impattare negativamente sul modo in cui viene considerato questo gruppo di stili relazionali è la mononormatività.

Pieper e Bauer nel 2005 hanno coniato il termine mononormatività per indicare il sistema di credenze che stabilisce la coppia monogama (ed eterosessuale) come naturale, ottimale e moralmente più elevata. La conseguenza è una stigmatizzazione delle alternative non-monogame che vengono percepite come innaturali, disfunzionali o addirittura perverse.

Alcuni dei bias mononormativi presenti a livello culturale sono ad esempio l’ideale dell’anima gemella, il vero amore, l’idea che l’esclusività sessuale sia una misura dell’impegno relazionale, la credenza che avere unǝ singolǝ partner sessuale e romanticǝ sia una scelta matura. L’influenza di questo tipo di credenze mononormative ha il potenziale di impattare negativamente sul benessere delle persone che si riconoscono come non-monogame consensuali, privilegiando involontariamente le relazioni monogame rispetto ad altri stili relazionali e stigmatizzando di conseguenza i gruppi sociali associati alla pratica delle non-monogamie.

Le indagini sulla percezione delle relazioni monogame in confronto alle relazioni non-monogame confermano questa influenza, evidenziando che le relazioni monogame vengono percepite come più impegnate, passionali, degne di fiducia e sessualmente soddisfacenti.

Secondo una ricerca di Kolmes e colleghЗ del 2006 si può ragionevolmente sostenere che le persone non-monogame soffrano a tutti gli effetti di pregiudizi, incomprensioni ed emarginazione talvolta maggiori rispetto alle persone appartenenti ad altre minoranze LGBTQIA+.

Alla luce di questi dati sembrerebbe sensato chiedersi se non possa essere utile promuovere la validità di altri stili relazionali. In primo luogo per ridurre il pregiudizio negativo e la stigmatizzazione; in secondo luogo perchè, secondo le ricerche, le relazioni non-monogame consensuali risultano essere di fatto funzionali e soddisfacenti. Ad oggi mancano prove della superiorità della monogamia, in particolare per quanto concerne l’adattamento relazionale, i benefici sessuali, la salute sessuale e i benefici per lЗ bambinЗ. Eppure difficilmente, sia nella pratica clinica sia a livello culturale, si promuovono stili relazionali alternativi alla monogamia.

Il percorso verso la riduzione della mononormatività nella pratica clinica e sessuologica in Italia è ancora lungo. Il primo passo è sicuramente l’ampliamento della ricerca sul tema, a partire dalle indagini sulla prevalenza degli stili relazionali non-monogami, di cui ancora non disponiamo.

Un’approccio inclusivo alle relazioni non-monogame consensuali passa in primo luogo attraverso l’acquisizione di una profonda consapevolezza rispetto alle proprie credenze e ai propri pregiudizi, ottenibile considerando non solo gli aspetti individuali, ma anche gli aspetti socioculturali e politici che co-occorrono nella costruzione delle rappresentazioni su ciò che viene considerato “sano e normale”, sia nellǝ professionista che nellЗ clientЗ. 

L’assenza di occasioni formative specialistiche nei percorsi di studi in ambito psicologico e sessuologico è un elemento critico che rischia di mantenere e reiterare assunzioni e bias normativi inconsapevoli, nonostante la volontà da parte dellǝ professionista di porsi in modalità non giudicanti.

L’assenza di proposte formative sufficienti impatta negativamente sul benessere psicologico dellЗ clienti non-monogamЗ stessЗ, che si trovano tutt’ora a incorrere in microaggressioni e discriminazioni anche all’interno dello spazio clinico.

Questo articolo ha voluto evidenziare alcune delle principali tematiche emerse dalla ricerca in relazione alla mononormatività, nella speranza di proporre spunti di riflessione utili per ampliare le proprie conoscenze sul tema e avvicinarsi al tema delle relazioni non-monogame consensuali con uno sguardo non giudicante e attento alla convivenza delle diversità.

Letture consigliate

  • Fern, J. (2020). Polysecure: Attachment, trauma and consensual nonmonogamy. Thorntree Press LLC. (in inglese)
  • Le guide Step by Step di @sessuologia. Oltre la coppia monogama: poliamore e fluidità relazionale. https://sessuologia.store/products/guida-poliamore
  • Barker, M. J., & Iantaffi, A. (2019). Life isn’t binary. Jessica Kingsley Publishers. (in inglese)

Bibliografia

  • Barker, M., & Langdridge, D. (2010). Understanding non-monogamies. New York, NY: Routledge.
  • Conley, T. D., Matsick, J. L., Moors, A. C., & Ziegler, A. (2017). Investigation of consensually nonmonogamous relationships: Theories, methods, and new directions. Perspectives on Psychological Science, 12(2), 205-232.
  • Conley, T. D., Moors, A. C., Matsick, J. L., & Ziegler, A. (2013). The fewer the merrier?: Assessing stigma surrounding consensually non-monogamous romantic relationships. Analyses of Social Issues and Public Policy, 13(1), 1-30.
  • Fern, J. (2020). Polysecure: Attachment, Trauma and Consensual Nonmonogamy. Thorntree Press LLC.
  • Major, B., & O’Brien, L. T. (2005). The social psychology of stigma. Annual Review of Psychology, 56, 393–421.

Asterisco supporta il Pride di Cremona e il suo impegno a favore del cambiamento sociale

Sabato 4 giugno si è tenuto il Cremona Pride, manifestazione che vede la partecipazione dellЗ cittadinЗ che sentono vicino e impellente il bisogno di ricevere diritti e tutele in quanto appartenenti alla comunità LGBTQIA+. La comunità LGBTQIA+ è ancora oggi, soprattutto nel contesto socio-culturale italiano, un gruppo minoritario la cui esistenza è considerata spesso illegittima. Numerosi articoli scientifici hanno dimostrato come le persone appartenenti a questa comunità abbiano un minor accesso alle risorse riguardanti la salute psicofisica e un maggior tasso di suicidi.

Ogni anno migliaia di persone manifestano con calore e colore con l’obiettivo di far sentire la propria voce, urlare la propria esistenza per farsi riconoscere dalle istituzioni e dalla classe politica che spesso, purtroppo, non fa altro che alimentare il pregiudizio, delegittimando ogni forma di uguaglianza sociale. Questo è solo un piccolo riassunto non esaustivo della complessità delle istanze che si riuniscono ogni anno, in quasi ogni città d’Italia.

Se queste sono le premesse, viene da chiedersi cosa abbia visto l’autorə dell’articolo in prima pagina pubblicato oggi 6 giugno 2022 da “La Provincia”, quotidiano di Crema – in completo anonimato – e gli illuminatissimi illustri opinionisti citati.

Il Cremona Pride non è stato nulla di quello che è stato raccontato in quell’articolo che di blasfemo aveva, forse, la scelta editoriale.

Cominciamo con una questione importante: considerare il Pride come “una festa colorata” è una forma di delegittimazione che cancella completamente le motivazioni sottostanti la scesa per le strade dellз cittadinз. Basare l’intera consistenza dell’articolo su un totale di 434 commenti indignati sui social fa quantomeno sorridere, considerato che la provincia di Cremona, stando alle rilevazioni Istat, ci sono più di 350000 abitanti. Salvini ha definito il Pride di Cremona come «un’esibizione di ignoranza e arroganza». Lo stesso commento potrebbe essere traslato a quei commenti che rappresentano lo 0,1% dellЗ cittadinЗ.

L’intento molto probabilmente era quello di dare un framing negativo – ovvero una cornice narrativa che influenza la lettura morale degli avvenimenti – con l’intento di giustificare le opinioni di tre persone: un imprenditore, un politico e un religioso.

Questa è una triade molto comune nelle narrazioni conservatrici in cui si dà molto più risalto a opinioni di persone che appartengono a gruppi sociali avvantaggiati, che hanno anche un eccessivo accesso a risorse economiche, di cura e di scolarizzazione a scapito di altre, il cui obiettivo è quello di mantenere lo status quo immutato. D’altronde cosa possono saperne loro di cambiamento sociale?

In aggiunta, il taglio dell’articolo richiama molto spesso il disgusto morale. Viene dato risalto a una raffigurazione “blasfema” di una madonna a seno nudo. AltrЗ potrebbero vedere la rappresentazione di una donna consapevole del proprio corpo e del modo in cui vuole vivere e mostrare le proprie identità, anche sessuali. Chi si occupa di discriminazione e pregiudizio non avrebbe dubbio nell’etichettare una madonna a seno nudo come una visione sessista del corpo femminile. Focalizzarsi solo sul seno – i cui i capezzoli sono stati anche censurati – e non su altro è una visione piuttosto oggettivante del corpo femminile. A questo si aggiunge la visione di sacralità che ogni donna dovrebbe fare propria: una visione che le rende persone dalla moralità incrollabile e, al contempo, schiave di norme sociali stigmatizzanti. Una visione quanto meno antiquata per una classe dirigenziale e politica che cerca rappresentanza e consensi nel 2022.

Non fa certo stupore che Matteo Salvini sia intervenuto su un non-caso del genere. Questo la dice lunga sulla sua agenda politica. Come possono stupire interventi di questo tipo dopo l’utilizzo strumentale quotidiano che Salvini fa su social e media generalisti dei gruppi minoritari svantaggiati?

Il fatto che vengano raccontate alcune cose a scapito di altre la dice lunga sul framing negativo utilizzato nell’articolo. Nessuna citazione, casualmente, della presenza di famiglie, mamme con bambinЗ – anche molto piccoli nelle carrozzine – papà amorevoli, coppie che si tenevano per mano, giovani e non che cantavano a squarciagola la necessità vitale di essere riconosciuti e tutelati. Completamente cancellati i discorsi degllЗ organizzatorЗ del Pride, delle organizzazioni promotrici e dell’intervento di Adrian Fartade, unə dellЗ più famosЗ e apprezzatЗ divulgatorЗ scientificЗ. Fartade ha raccontato alla platea di come recentemente è statə vittima di violenza da un gruppo di persone che non tolleravano la sua immagine e la sua identità. Negare l’esistenza di questo discorso, che ha commosso l’intera piazza Stradivari, significa cancellare il dolore e le molestie che le persone appartenenti alla comunità LGBTQIA+ subiscono ogni giorno, arrivando a rischiare la propria vita semplicemente perché non vogliono nascondere la propria esistenza, rivendicando lo stesso diritto di esistere dell’imprenditore, del politico e del religioso.

La presenza di bambinЗ e la violenza nei confronti delle persone LGBTQIA+ – ma vale anche per qualsiasi altro gruppo minoritario, si pensi alle persone migranti – vengono spesso cancellate dalla narrazione della destra conservatrice. Il motivo è presto detto: la narrazione conservatrice di destra vuole evitare a tutti i costi che si empatizzi e si provino emozioni compassionevoli nei confronti di persone appartenenti a gruppi sociali svantaggiati. Il rischio matematico è che si possa provare vicinanza per queste persone e che ci si unisca alle loro battaglie legittime. E questo il conservatorismo religioso e politico non può permetterselo.

Chi ha descritto il Pride di Cremona come qualcosa di blasfemo ha utilizzato il proprio sistema di valori – del tutto soggettivo e discutibilmente condivisibile – per interpretare una legittima partecipazione politica in cui lз cittadinз hanno scelto di manifestare la necessità di un cambiamento sociale importante. Un cambiamento sociale che non viene innescato nemmeno dalla controparte politica “progressista” che ancora oggi a livello locale e nazionale si vergogna a far proprie le istanze di queste persone.

Stefano Daniele Urso,
psicologo sociale, presidente dell’associazione Asterisco.

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Bi+ who you are: l’ombrello della bisessualità

La bisessualità è un orientamento sessuale che fa riferimento all’attrazione verso più di un genere e corrisponde alla “B” dell’acronimo LGBTQIA+. Spesso si usa il termine bisessualità come termine ombrello che include una varietà di identità ed esperienze che verranno descritte di seguito.

Le persone che si identificano come bisessuali sono attratte sia dal genere uguale al proprio sia da generi diversi dal proprio. Quando l’attrazione verso un solo genere è predominante, ma non esclusiva, possono essere preferiti termini come eteroflessibilità o omoflessibilità. Coloro che si identificano come pansessuali trovano che il genere di una persona sia irrilevante nel determinare l’attrazione, mentre il termine queer è utilizzato per mettere in discussione l’intera visione binaria dei generi e della sessualità. Fanno parte dell’ombrello della bisessualità anche le persone che percepiscono la propria sessualità come fluida e variabile nel tempo (Bowes-Catton, 2007). Se si prendono in considerazione altri tipi di attrazione, come per esempio quella romantica, questi termini sopracitati possono essere declinati di conseguenza: biromanticismo, panromanticismo, omniromanticismo, ecc.

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L’utilizzo del termine bisessualità come termine ombrello è stato spesso criticato, poiché rischia di sostenere la centralità nel genere per determinare l’attrazione. Nonostante queste problematiche, il termine è ancora il più utilizzato in campo politico per le pari opportunità, dai gruppi LGBTQIA+, dallз ricercatorз e da chi si impegna attivamente a fianco di coloro che sono attrattз da più di un genere. In questo articolo parleremo di ombrello bi+ per fare riferimento a tutte le persone che non si identificano come monosessuali

Attrazione, comportamento e identità bi+

Non tutte le persone che provano attrazione verso più di un genere si identificano come bi+. Infatti, l’attrazione, il comportamento e l’identità sessuale sono tre aspetti fra loro distinti (Barker et al., 2012). Per esempio, qualcunə può provare attrazione e avere comportamenti sessuali verso più persone di generi differenti, ma non identificarsi all’interno dello spettro bi+. Così come qualcun*altrə può provare attrazione verso più generi e identificarsi come persona bi+ senza avere mai fatto esperienza di comportamenti bi+.

Un rettangolo rappresenta l'attrazione BI+, al suo interno un cerchio più piccolo rappresenta i comportamenti BI+, un cerchio ancora più piccolo interseca il cerchio dei comportamenti e rappresenta l'identità BI+
L’attrazione BI+ è l’insieme più grande, alcune persone provano questo tipo di attrazione ma non hanno comportamenti correlati alla propria attrazione BI+ e non si identificano nell’ombrello BI+. Chi ha comportamenti correlati alla propria attrazione BI+ non necessariamente si identifica nell’ombrello BI+. Chi si identifica come persona BI+, non necessariamente deve attuare comportamenti correlati al proprio orientamento BI+.

  In base all’aspetto che si prende in considerazione cambia anche la prevalenza della bisessualità nella popolazione generale, rendendo difficoltoso fare delle stime accurate. L’Office for National Statistics del Regno Unito ha riportato che l’1,1% delle persone sopra i 16 anni si identificano come bisessuali. Uno studio americano (Mosher et al., 2005) ha rilevato che le percentuali sono molto più alte se si prende in considerazione l’attrazione e il comportamento sessuale al posto dell’identità.

Le stime della prevalenza della bisessualità, ovviamente, non sono e non devono essere in alcun modo connesse alla necessità di assicurare alle persone bi+ eguaglianza e libertà dalle discriminazioni. Questi infatti sono diritti fondamentali che prescindono l’identità o l’attrazione sessuale.

Stereotipi, Pregiudizi e Bifobia

Le esperienze e le identità bi+ mettono in discussione la visione binaria della sessualità profondamente radicata nella società occidentale e caucasica. Mettendo in crisi la dicotomia fra eterosessualità e omosessualità, le persone bi+ si trovano spesso forzate in una di queste due categorie. In ogni caso è bene ricordare che qualunque orientamento sessuale diverso dall’eterosessualità è soggetto a eterosessismo ed eteronormatività.

Le ricerche scientifiche (es. Brewster & Moradi, 2010) hanno dimostrato che gli individui bi+ sono soggetti al pregiudizio bisessuale, una forma di pregiudizio differente dal pregiudizio omosessuale. Il pregiudizio bisessuale – o più impropriamente chiamato “bifobia” – è definito come un insieme di atteggiamenti, comportamenti e strutture negative specificatamente dirette verso le persone bi+. Esso è evidente nel perpetuarsi di specifici stereotipi negativi, nella negazione della bisessualità e nella sua invisibilizzazione, esclusione e marginalizzazione. Questi fenomeni sono presenti purtroppo ancora oggi in molteplici settori e contesti: i media mainstream, le comunità gay e lesbiche, la ricerca scientifica, la psicologia e psicoterapia, la politica e la legislazione.

Fra gli stereotipi negativi maggiormente diffusi troviamo l’assumere che le persone che si identificano come bi+ siano promiscue, manipolatorie, portatrici di malattie sessualmente trasmissibili, incapaci di intraprendere delle relazioni monogame, che siano delle minacce per le relazioni o per le famiglie e che siano sempre sessualmente disponibili con chiunque. Un altro falso mito è che a lungo termine le persone bi+ prediligano le relazioni eterosessuali per mantenere i propri privilegi nella relazione monogama. Altre volte ancora gli individui bi+ possono essere usati come veri e propri fetish in risposta a fantasie sessuali, come per esempio il sesso a tre.

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La negazione della bisessualità avviene ogni qual volta le persone che si identificano come bi+ vengono percepite come “confuse” riguardo alla propria sessualità o come se fossero in uno stato di transizione che dovrà culminare nell’eterosessualità o nell’omosessualità.

Un esempio di invisibilizzazione è il dedurre l’orientamento sessuale osservando solamente l’espressione di genere dellə/з partner attuale/i. Oppure quando,  in assenza di comportamenti sessuali bi+,  si mette in discussione l’identità bi+ di qualcunə. Teniamo a mente però che l’eterosessualità è raramente questionata prima di avere avuto esperienze sessuali con qualcunə di un genere diverso dal proprio.

L’esclusione bi+ si esprime nell’assenza di servizi specifici per le persone bi+ e nell’aspettativa che queste usino una combinazione dei servizi per eterosessuali e per gay e lesbiche. Inoltre, anche nel trasmettere messaggi che fanno riferimento alle minoranze sessuali, le tematiche bi-specifiche vengono spesso trascurate.

La marginalizzazione della comunità bi+ è evidente quando si permette che commenti discriminatori nei confronti di persone bi+ passino incontrastati, quando si assume che la bisessualità possa essere oggetto di ironia accettabile, quando si da maggiore priorità alle tematiche eterosessuali o gay/lesbiche rispetto a quelle bi+ e quando si pongono molte domande rispetto alla bisessualità di una persona in modi che sarebbero considerati offensivi per individui di altri orientamenti sessuali. 

Come risultato di questi fenomeni, le persone bi+ sono soggette ad una doppia discriminazione, che avviene sia da coloro che si identificano come etero sia da coloro che si identificano come gay o lesbiche

Purtroppo, il pregiudizio bisessuale è ancora oggi poco riconosciuto e molto diffuso nei vari contesti scolastici, lavorativi, sportivi, della giustizia e della salute. Questo ha delle ripercussioni anche sulla salute fisica e mentale delle persone bi+, determinando una minore qualità di vita e di benessere generale. Appare quindi evidente la necessità di accrescere la conoscenza in questo campo e di impegnarsi attivamente per interrompere questa tendenza a una discriminazione silente e ingiustificata delle persone bi+.

Bibliografia

  • Barker, M. J. (2017). Gender, sexual, and relationship diversity (GSRD). British Association for Counselling and Psychotherapy. https://www.bacp.co.uk/media/5877/bacp-gender-sexual-relationship-diversity-gpacp001-april19.pdf 
  • Barker, M., Richards, C., Jones, R., Bowes-Catton, H., Plowman, T. (2012). The Bisexuality Report: Bisexual inclusion in LGBT equality and diversity.  Milton Keynes: The Open University, Centre for Citizenship, Identity and Governance. Available from: www.open.ac.uk/ccig/sites/www.open.ac.uk.ccig/files/The%20BisexualityReport%20Feb.2012_0.pdf 
  • Brewster, M. E., & Moradi, B. (2010). Perceived experiences of anti-bisexual prejudice: Instrument development and evaluation. Journal of Counseling Psychology, 57(4), 451–468.  doi:10.1037/a0021116
  • Bowes-Catton, H. (2007). Resisting the binary: Discourses of identity and diversity in bisexual politics 1988-1996. Lesbian & Gay Psychology Review, 8 (1), 58-70. 
  • Mosher, W. D., Chandra, A., & Jones, J. (2005). Sexual behaviour and selected health measures: Men and women 15-44 years of age, United States, 2002. Advance data from vital and health statistics, no. 362. Hyatsville, MD: National Center for Health Statistics. 

Approfondimenti

Foto in copertina di Joel Muniz.

Educazione Sessuale Inclusiva: il Manifesto di Asterisco

Questo è il Manifesto di educazione sessuale inclusiva di Asterisco.

Ha l’obiettivo di esplicitare i nostri valori, i nostri intenti e di accompagnare la lettura di tutti i nostri futuri contributi sul tema della sessualità. Ci auguriamo possa diventare un punto di riferimento per tutte le persone che decidono di approcciarsi al tema della sessualità e dell’educazione sessuale con uno sguardo attento alle diversità.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, 2006) la salute – di cui quella sessuale è parte integrante – è un diritto fondamentale di ciascuna persona.
La promozione della salute e del benessere sessuale richiede di affrontare il tema della sessualità in maniera etica e scientifica, con un’attenzione a non ridurne la complessità e valorizzando le diversità. Già da alcuni anni si parla di «educazione sessuale comprensiva» (UNPFA, 2020), «estesa» e «integrata» (Verde & Del Ry, 2004). In Asterisco abbiamo elaborato una nostra visione di ciò che un’educazione sessuale inclusiva dovrebbe essere partendo da un’analisi critica delle fonti in letteratura e integrandola con le nostre esperienze multidisciplinari.
Parleremo di sessualità e di educazione sessuale in senso esteso, nel pieno rispetto di tuttЗ.

Cos’è la sessualità per Asterisco?

La nostra visione di sessualità è bio-psico-sociale. La sessualità è un insieme di diverse dimensioni che si estendono dal livello biologico “micro” (fenotipo, cromosomi ecc.), sino al livello sociale “macro” (espressione di genere). Essa riguarda numerosi aspetti della persona: corpo, sensi, zone erogene, genitali (conformi o meno), psiche, cervello, funzionamento neurologico (tipico/atipico), attrazione (sessuale, romantica, estetica e non solo), relazione (fisica, affettiva, platonica, ecc.), pratiche sessuali (tipiche/atipiche), desiderio, fantasie, riproduzione, aborto, diritti, salute, MTS, orientamento sessuale, orientamento romantico, orientamento relazionale, identità di genere, espressioni di genere, ruoli di genere e stili relazionali.

La sessualità è una componente presente in tutti i livelli di analisi, dalla biologia alla cultura/società di appartenenza. Per questo motivo, quando si parla di sessualità, devono essere tenuti in considerazione e affrontati tutti i seguenti elementi:

  • Tutte le persone hanno valore, nel corpo e nella mente. Promuoviamo il rispetto dell’unicità e delle diversità, scardinando i concetti di “normalità/anormalità” e “tipicità/atipicità” rispetto alla sessualità;
  • Tutte le persone hanno diritto alla salute e al benessere sessuale, che non segue standard, è personale ed è parte imprescindibile del benessere globale dell’individuo;
  • Tutte le persone hanno diritto al piacere, sia in autonomia sia in condivisione. Il piacere non è obbligatorio, è soggettivamente determinato, cioè definito da ogni singolo individuo per sé. Il piacere deve essere il centro del discorso sulla sessualità;
  • La sessualità è un diritto e non un dovere. Esercitare questo diritto prevede il rispetto dei diritti altrui;
  • Il consenso alla sessualità deve essere esplicito ed entusiasta. Qualsiasi pratica o attività sessuale deve fondarsi sul consenso esplicito ed entusiasta da parte di tutte le persone coinvolte. Le persone devono essere consapevoli di ciò che succede e acconsentire in modo chiaro,comprensibile e con convinzione. Il consenso è un processo continuo e può essere tolto il qualsiasi momento;
  • Le persone hanno il diritto alla consapevolezza e all’autodeterminazione. Ogni identità, espressione, orientamento, stile relazionale ha valore;
  • La sessualità riguarda tutto il ciclo di vita delle persone: è un elemento che appartiene a qualunque età, dal periodo prenatale fino alla morte − e, in alcune accezioni anche oltre;
  • Il tema della sicurezza nella sessualità deve essere valorizzato considerando in primis il benessere, invece del mero evitamento del rischio e del danno. La protezione e la sicurezza non sono dimensioni solo fisiche ma anche psicologiche e relazionali;
  • La sessualità, quando esercitata come libera scelta e senza coercizione, può anche essere lavoro. Tale scelta va accettata e rispettata.

Che cos’è l’educazione sessuale inclusiva per Asterisco?

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L’educazione sessuale che vogliamo:

  1. Utilizza un linguaggio positivo, inclusivo con un approccio non giudicante e attento alla convivenza delle diversità;
  2. Ha come obiettivo primario la diffusione di consapevolezza e benessere sessuale. Secondariamente ha l’obiettivo di promuovere il cambiamento sociale attraverso la divulgazione scientifica, la promozione di una cultura aperta alle diversità e la decostruzione di pregiudizi, falsi miti e standard che rimandano a stereotipi di genere, di orientamento sessuale, affettivo e di relazione. Infine, ha l’obiettivo di affermare e veicolare il messaggio che tutte le esperienze consensuali nella sessualità sono valide e di valore.
  3. È sessuo-affettiva. L’educazione sessuale si occupa non solo della sfera fisica e sessuale, ma anche di emozioni, affettività e relazione con se stessЗ e le altre persone;
  4. È fluida e in costante mutamento. L’educazione sessuale si costruisce e adatta alle caratteristiche dell’interlocutorǝ, del contesto e della cultura in cui agisce;
  5. È intrinsecamente politica. L’educazione sessuale promuove una visione del mondo aperta e progressista, in cui tutte le persone, indipendentemente dalle loro appartenenze, meritano rispetto, ascolto e partecipazione. L’educazione sessuale deve essere accessibile a tuttЗ, a prescindere dal gruppo sociale di appartenenza;
  6. È curiosa e positiva. L’ascolto attivo e curioso delle domande e delle esperienze di chi si rivolge all’educazione sessuale devono guidare la costruzione dell’attività, adattando quest’ultima allo specifico contesto senza seguire protocolli rigidamente standardizzati e approcciando il tema con gioia e positività;
  7. È democratica e costruttivista. L’educatorǝ sessuale, in virtù del proprio sapere e delle proprie competenze, deve essere consapevole di far parte di una relazione asimmetrica con l’utenza. Oltre a ciò deve cercare di ridurre la distanza sociale optando per progettualità co-costruite e per una diffusione orizzontale e democratica del sapere;
  8. È multiprofessionale. È fondamentale che diverse figure collaborino, ciascuna con la propria specifica competenza, alla costruzione dell’educazione sessuale (professionistЗ della salute, attivistЗ, figure di accudimento, istituzioni, sex toys advisors, ecc.).
  9. È itinerante. L’educazione sessuale può essere portata in ambienti differenti (luoghi di lavoro, di cultura, intrattenimento, mass-media, ecc.) e non limitandosi al solo ambiente scolastico o socio-sanitario.
  10. È analogica e digitale. L’educazione sessuale deve essere promossa attraverso modalità di educazione con supporti esperienziali (seminari, workshop, ecc.) e peer education, utilizzando adeguatamente le tecnologie più avanzate e i vari canali di comunicazione;
  11. È attenta alla scienza, con uno sguardo critico ai limiti dell’attuale stato dell’arte in questo campo. Riteniamo fondamentale includere nella ricerca scientifica di settore tutti i gruppi sociali, compresi quelli minoritari, tenendo in forte considerazione anche il benessere delle persone che vi appartengono;
  12. L’educazione sessuale deve essere normata. Abbiamo bisogno che l’educazione sessuale sia accompagnata e sostenuta da una o più leggi che la riconoscano e la tutelino in modo che questa venga considerata un diritto fondamentale di ciascun individuo;

Conoscere se stessЗ e il proprio corpo, esplorare relazioni positive e soddisfacenti con le altre persone accogliendo le differenze, vivere la propria e altrui sessualità con piacere, rispetto e sicurezza, sono tutti elementi su cui è fondamentale investire ed educare.
Per questo Asterisco lavora affinché l’educazione sessuale diventi legge.
Perché fare educazione sessuale significa anche fare cultura e politica. E attraverso la cultura e la politica è possibile cambiare il mondo.

Letture consigliate

Bibliografia

Perché nella ricerca scientifica usiamo il termine queer?

Dare un nome alle cose serve a renderle vere. Da “invertito” a “omosessuale”, da “omosessuale” a “gay/lesbica”, fino ad arrivare a “queer”, le etichette servono alle persone per potersi identificare e trovare rappresentazioni di loro stesse, a creare alleanze e significati politici che diventano, con il tempo e l’utilizzo, importanti strumenti per il cambiamento. 

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Il vocabolo “Queer” viene preso in prestito dall’inglese e ha come significato originario «strano», «bizzarro». L’etimologia si rifà al tedesco “quer” che significa «diagonale», «di traverso», indica pertanto qualcosa di “deviante” rispetto a ciò che è considerato normativo. In passato, il termine è stato utilizzato come insulto per i soggetti appartenenti alla comunità LGBTQIA+, attualmente invece lo si utilizza per riferirsi alle persone che non si identificano come eterosessuali e/o cisgender, riducendo la tendenza alle rappresentazioni binarie.
Generalmente, la nostra cultura ci porta a pensare in modo binario, ovvero a costruire la realtà individuando prima una caratteristica e poi il suo opposto: amici o nemici, maschi o femmine, eterosessuale o omosessuale. Questo rende polarizzate le rappresentazioni che vengono costruite su estremi, a differenza del termine queer che va oltre la polarizzazione perché riesce a rappresentare tutte le posizioni presenti all’interno dello spettro.

La prima ad utilizzare “queer” con un significato vicino a quello attuale è stata Teresa De Lauretis, studiosa, scrittrice e docente presso l’Università della California. Nell’articolo “Queer Theory. Gay and Lesbian Sexualities”, De Lauretis voleva porre l’accento sulla problematicità della definizione “studi gay e lesbici”, impiegato per parlare degli studi svolti nell’ambito della comunità LGBTQIA+. Infatti l’uso di questa definizione ha dei limiti:

  • Porta lз lettorз a percepire come una sola identità gruppi sociali diversi, lasciando supporre che questi abbiano lo stesso tipo di svantaggio sociale (es. le persone gay e lesbiche appartengono allo stesso gruppo sociale e vivono le stesse cose); 
  • Cancella le differenze anche all’interno della singola categoria (es. credere che tutte le persone lesbiche sperimentino le stesse cose) -; 
  • Non vengono considerate tutte le categorie che non rientrano nella definizione “gay” o “lesbica” (es. persone asessuali, aromantiche, non binarie ecc.), creando dei cosiddetti “scarti categoriali”. 

Per tali ragioni, De Lauretis ha preferito parlare di “teoria queer” e “studi queer”, che ad oggi comprendono le riflessioni teoriche e le indagini interdisciplinari riguardanti la sessualità in ambito LGBTQIA+. Possiamo quindi considerare gli studi queer come l’ultima e più inclusiva evoluzione degli studi “gay e lesbici”.

Parlare di studi queer – e utilizzare questa terminologia – è importante perché consente di abbracciare dentro il discorso scientifico e teorico tutti i gruppi sociali considerati devianti rispetto alla norma”, rendendo così la rappresentazione binaria del mondo diviso tra eterosessuali/omosessuali più complessa. Inoltre, il termine “queer” riesce a rappresentare le varie componenti che appartengono alla persona in modo trasversale, indicando non solo l’orientamento sessuale, ma anche l’orientamento relazionale e romantico, l’identità di genere, l’espressione di genere, rendendo multidimensionale la descrizione delle persone.

Un altro motivo per utilizzare questo termine è fronteggiare l’essenzializzazione. Esistono infatti delle categorie sociali che vengono percepite come aventi un’essenza naturale, come ad esempio “donne si nasce” o “gay si nasce”. Questo sposta l’attenzione da ciò che ha evidenziato la ricerca scientifica, ovvero che le identità sociali sono in realtà complesse formazioni socio-culturali che vengono, sin dall’infanzia, interiorizzate dall’individuo. Queste evidenze, inoltre, sottolineano la mutabilità e l’instabilità delle identità che, essendo determinate dalla propria cultura di appartenenza, possono cambiare nel corso degli anni. Pensiamo ad esempio a come si è evoluta la percezione delle donne negli ultimi decenni.

L’utilizzo di etichette per descrivere le persone fa sì che, nella nostra mente, si attivino gli stereotipi ad esse collegate. Questi sono schemi cognitivi utilizzati per categorizzare il mondo, per capire cosa aspettarci e come comportarci. Utilizziamo quindi gli stereotipi come lente principale per interpretare l’altrə e il suo comportamento, ma anche come presupposti su cui basare la nostra ricerca di informazioni. 

Variabili come sesso, genere e orientamento sessuale o relazionale sono generalmente pensate come attributi binari. Inoltre, tendiamo a percepire queste variabili come immutabili, come insiemi di norme, ruoli e interessi che sono indicatori di cosa sarà e come si comporterà un individuo che possiede una di queste caratteristiche, tale meccanismo spinge fortemente verso l’essenzializzazione di quella caratteristica.

L’utilizzo del termine Queer serve quindi anche a racchiudere sotto lo stesso cappello una serie vastissima di diversità che afferiscono ad ambiti diversi della vita delle persone, che altrimenti finirebbero appiattite sotto il peso dello stereotipo.

Letture consigliate

  • Vaid-Menon, A. (2020). Beyond the gender binary. New York: Penguin Workshop.
  • Barker, M. J. & Iantaffi A. (2019). Life isn’t binary: on being both, beyond, and in-between. Jessica Kingsley Publishers.

Bibliografia 

  • Butler, Judith (1993a). Bodies That Matter: On the Discursive Limits of ‘Sex’, New York: Routledge.
  • Jagose, A., & Genschel, C. (1996). Queer theory (p. 47). Melbourne: Melbourne University Press.
  • Morandini, J. S., Blaszcynski, A., & Dar-Nimrod, I. (2016). Who adopts queer and pansexual identities? The Journal of Sex Research, 54(7), 911–922.
  • Pustianaz, M. (2004). Studi queer. Cometa, Michele, Dizionario degli studi culturali, 441-448.
  • West, C., & Zimmerman, D. H. (1987). Doing gender. Gender & society, 1(2), 125-151.
  • Watson, K. (2005). Queer theory. Group analysis, 38(1), 67-81.