Come e perché usare un linguaggio neutrale

Quella che segue è un’introduzione all’utilizzo del linguaggio neutrale nella lingua italiana. Per linguaggio neutrale si intende una modalità espressiva che possa andare oltre l’utilizzo esclusivo del femminile e del maschile per riferirsi alle persone.

La lingua italiana formale rispecchia il binarismo di genere, ovvero la classificazione delle persone sulla base della forma dei genitali esterni in uno dei due generi mutuamente escludenti: il femminile e il maschile. Si avverte pertanto la necessità di sviluppare delle strategie espressive alternative, poiché abbattere le barriere linguistiche è un passo importante per abbattere le barriere relative al genere.

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Di frequente, nel rivolgersi a qualcunə, si utilizzano il maschile o il femminile basandosi su una prima impressione approssimativa dell’aspetto fisico o della sua espressione di genere.

Così facendo non si tiene conto del fatto che il sesso si riferisce unicamente a differenze di tipo biologico/anatomico, mentre il genere è un costrutto socio-culturale, e l’identità di genere è la percezione che ogni persona ha di sé in relazione all’adesione ad uno, entrambi, o nessuno, dei generi.Non c’è una corrispondenza obbligatoria tra sesso, genere e identità, così come può non esserci una corrispondenza obbligatoria con i pronomi utilizzati.

Pronomi e lingua italiana

I pronomi sono intesi, in questo contesto, in riferimento alla preferenza che ogni persona ha, per il modo in cui ci si rivolge a lei. Alcune persone utilizzano i pronomi femminili o maschili (lei o lui, e in inglese she/her o he/him). Alcune persone usano una sola serie di pronomi per riferirsi a sé stesse (lei o lui), altre usano più pronomi (lei/loro, alternare tra lei e lui, o qualsiasi pronome) e alcune non usano alcun pronome (preferendo il nome proprio), o utilizzano neopronomi neutri come ləi. I pronomi utilizzati ci aiutano a capire se le persone per riferirsi a loro stesse usano il femminile, il maschile, entrambi, o nessuno e a declinare il linguaggio di conseguenza

L’italiano è una lingua flessiva e, oltre ai pronomi, anche i sostantivi, gli articoli, gli aggettivi, e alcuni tempi verbali sono declinati per genere. Questo evidenzia una mancata rappresentazione a livello sintattico, come a livello sociale, di chi non appartiene o non sente di appartenere a una delle due categorie.

Esistono alcune strategie per sostituire nei testi scritti le vocali genderizzate (come “a” e “o” ) con segni grafici come la chiocciola @, l’asterisco *, la schwa ə, e per il plurale la schwa lunga ɜ, al fine di usare un linguaggio inclusivo. Questo avviene anche in altre lingue con modalità diverse.

Nel parlato, adottare un linguaggio neutro quando si parla di/con altre persone può risultare ancora ostico. Per moltɜ risulta strano “troncare” le parole omettendo l’ultima lettera, o utilizzare la schwa pronunciata come una vocale “muta” e gutturale.

Pronomi e identità

Molte persone con un’identità di genere non binaria scelgono di esprimerla attraverso l’uso dei pronomi neutri. In altre lingue questo è diffuso o agevolato, ad esempio dall’utilizzo di diversi pronomi e neopronomi.

Occorre però ricordare che i pronomi non sono necessariamente un indicatore dell’identità della persona.

Non tutte le persone non binarie, ad esempio, usano i pronomi neutri. Alcune persone non binarie alternano tra pronomi maschili e femminili, altre scelgono quelli in cui si riconoscono di più.Viceversa, non è necessario che una persona si riconosca come transgender o non binaria per scegliere di utilizzare i pronomi neutri. Una persona potrebbe essere in fase di questioning, cioè interrogarsi sulla propria identità di genere, potrebbe identificarsi come cisgender o non cisgender e riconoscersi nei pronomi neutri.

Perché è importante rispettare i pronomi utilizzati?

È ormai comprovato come il tentativo di racchiudere le identità di genere e sessuali in due poli opposti ed esclusivi, non si sia dimostrato sufficiente. Sebbene i pronomi non siano necessariamente allineati con l’identità di genere, possono dare modo alle persone di affermare e comunicare la propria identità e/o espressione di genere.

Quando si utilizza un pronome, articolo o desinenza errate (il cosiddetto misgendering) parlando con qualcunə, questə può sentirsi in difficoltà, imbarazzata, o persino invalidata rispetto alla propria identità/esistenza: dover correggere o ricordare i propri pronomi di frequente comporta un importante carico emotivo e cognitivo.

È auspicabile evitare di mettere le persone nella condizione di dover correggere i pronomi che si usano per rivolgersi a loro. 

Prestare attenzione ai pronomi utilizzati dalle persone è una piccola accortezza che può avere un risvolto molto profondo: per molte persone il semplice fatto di essere chiamate con i pronomi corretti può essere valorizzante e farle sentire viste e rispettate per come sono.

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Esempi pratici 

Come fare quando non si conoscono i pronomi utilizzati, o si vuole utilizzare un linguaggio neutro?

Bastano alcune strategie per aggirare l’obbligo di usare uno dei due generi. Inoltre, nella lingua italiana, esistono già strutture verbali che non implicano l’uso del genere nella loro forma originale, e che quindi non richiedono alcuna modifica.

Ecco alcuni esempio per rendere più neutre frasi di uso comune.

  1. Utilizzare il nome della persona:

È per lui/lei → È per Ale

Lei/lui ha già pagato → Ale ha già pagato

  1. Selezionare strutture verbali che non implicano un genere

Ti sei divertita/divertito? → È stato divertente?

Ti sei spaventato/spaventata? → Hai avuto paura?

È molto esperta/esperto →  Ha molta esperienza

  1. Utilizzare la schwa o “troncare” la vocale

Sei stanco/stanca? → Sei stancə? Sei stanc?

  1. Chiamare, indicare, o descrivere senza utilizzare un pronome: l’importanza della persona

Lui/lei ha dimenticato lo zaino → Quella persona ha dimenticato lo zaino

Chiediamolo a quell’uomo/quella donna → Chiediamolo alla persona che ha appena parlato/la persona con la camicia rossa/la persona vicino al tavolo

  1. Utilizzare pronomi relativi e interrogativi che non hanno un genere, come ad esempio “chi”

Guarda, arrivano le ragazze/i ragazzi! → Guarda chi arriva!

Ti ha accolto lui/lei? →  Chi ti ha accolto?

In conclusione, è importante non dare per scontato quali siano i pronomi con cui una persona si riconosce.

Per alcune persone i pronomi sono sempre gli stessi, per altre cambiano in base alla giornata, alla fase della vita, oppure ai contesti (ci sono alcuni contesti in cui utilizzare i propri pronomi non è percepito come sicuro). 

Il modo migliore per capire che pronomi utilizzare, è quello di non dare nulla per scontato e ascoltare il modo in cui la persona usa i pronomi per riferirsi a se stessa in ciascun contesto. Se non c’è occasione di dedurre i pronomi si può chiedere educatamente quali utilizzare, o utilizzare strategie che evitino di dover scegliere arbitrariamente tra maschile e femminilie.

Usare un linguaggio e dei pronomi neutri, quando appropriato, ha un risvolto positivo immediato in quanto è una dimostrazione di rispetto per la persona a cui ci rivolgiamo ed è stato dimostrato che contribuisce a diminuire pregiudizi e atteggiamenti discriminatori nei confronti delle donne e delle persone non binarie. Infine, inserire pronomi neutri nel linguaggio può avere anche valenza simbolica perché significa rende possibile rappresentare la pluralità dell’identità.

Glossario

Identità di genere: Senso intimo, profondo e soggettivo di appartenere o relazionarsi al genere o ai generi. Può essere stabile o cambiare nel tempo.

Transgender: Persona la cui identità di genere non si allinea con il sesso assegnato alla nascita. Alcune persone transgender si identificano con il genere opposto a quello di nascita, ma il termine comprende anche coloro la cui identità di genere va oltre il binarismo maschile-femminile che si riconoscono in questa definizione.

Cisgender: Persona la cui identità di genere si allinea con il sesso assegnato alla nascita.

Identità non binaria: Identità di genere che va oltre la tradizionale dicotomia di genere e comprende un’ampia gamma di identità che non si allineano esclusivamente come uomo o donna.

Lingua genderizzata: L’italiano è una lingua flessiva con due soli generi, il maschile e il femminile, e in caso di moltitudini miste prevede che si ricorra al maschile sovraesteso.

Questioning: Processo di ricerca personale durante il quale ci si interroga sulla propria identità sessuale o di genere, senza ancora averla chiaramente definita, in cui si può sperimentare e/o porsi domande al fine di comprendere meglio.

Misgendering: L’uso di pronomi e categorie di genere scorrette quando ci si rivolge a un’altra persona. È stato definito come un atto microaggressivo.

Neopronomi: Neologismi che differiscono dai pronomi più comunemente usati in una determinata lingua. Esempi di neopronomi  in inglese sono: xe/xir/xirs, ze/zir/zirs.

Pronomi neutri: Scelta linguistica che non presenta connotazioni di genere, e permette di riferirsi a una persona senza dover assumere un genere specifico.

Bibliografia

  • Comandini, G. « : Indagine Su Un Corpus Di Italiano Scritto Informale Sul Web». Testo E Senso, n. 23, dicembre 2021, pagg. 43-64, https://testoesenso.it/index.php/testoesenso/article/view/524.
  • Lewis, M., Lupyan, G. Gender stereotypes are reflected in the distributional structure of 25 languages. Nat Hum Behav 4, 1021–1028 (2020). https://doi.org/10.1038/s41562-020-0918-6
  • Lubello S., Nobili C., L’italiano e le sue varietà, Firenze, Franco Cesati Editore, 2018.
  • Marotta, I., & Salvatore, M. (2016). Un linguaggio più inclusivo? Rischi e asterischi nella lingua italiana. gender/sexuality/italy, 3, 1-15.
  • Tavits, M., & Pérez, E. O. (2019). Language influences mass opinion toward gender and LGBT equality. Proceedings of the National Academy of Sciences, 116(34), 16781-16786.

Il diritto alla sessualità è di tuttЗ: parliamo di corpi non conformi

Il diritto alla sessualità è uno degli elementi che influenza la qualità di vita. Nonostante ciò, il sesso è un tema spesso censurato nella società occidentale dalle istituzioni come la scuola, la famiglia e la chiesa. Le politiche del “don’t ask don’t tell” e dell’astinenza fino al matrimonio sembrano più semplici di un’educazione chiara, normata e scientificamente fondata. Le persone che si approcciano alla sessualità, non avendo altri punti di riferimento, basano le loro conoscenze su quanto appreso dai social media e dalle ricerche su internet. Ciò che è presente in rete, però, è composto quasi esclusivamente da rappresentazioni del corpo di persone cis, etero, caucasiche, senza disabilità, giovani e magre. È come se il piacere sessuale fosse una gratificazione riservata esclusivamente a chi rispecchia questi canoni. Anche la letteratura scientifica sul tema della sessualità nelle persone trans*, con disabilità, sovrappeso o obese, anziane e/o con malattie croniche è ancora molto scarsa e superficiale. 

Il risultato è che le persone con un corpo non conforme agli standard silentemente accettati vengono invisibilizzate, non riconosciute e non rappresentate. Il discorso è più ampio di quanto possa sembrare dato che il 44% della popolazione generale ha la possibilità di ricadere, nel corso della vita, in una delle categorie non rappresentate, anche solo per un periodo di tempo limitato. Pensiamo per esempio alla gravidanza, all’esordio di malattie che hanno un impatto sul corpo o di alcuni disturbi del comportamento alimentare. 

Ma cosa definisce la sessualità

L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) definisce la salute sessuale come uno stato di benessere fisico, emotivo, mentale e sociale rispetto alla sessualità; essa non è la mera assenza di disturbi, disfunzioni o malattie. 

In questo contesto è bene ricordare l’approccio bio-psico-sociale alla sessualità, la quale sarebbe il risultato di un’interazione tra diversi fattori:

  • I fattori biologici: l’anatomia, le terapie ormonali, la presenza di disabilità fisiche o mentali, la neurochimica e la vulnerabilità genetica;
  • Le caratteristiche psicologiche: il comportamento, la personalità, le credenze, la salute mentale, le abilità sociali, le strategie di coping, l’immagine corporea e l’autostima;
  • Le variabili ambientali: gli stereotipi e i pregiudizi della società o della persona stessa, la legislazione, il livello di assistenza, di supporto sociale, la qualità delle relazioni familiari e fra pari, le esperienze passate e lo status socioeconomico.

Ognuno di questi fattori può influenzare significativamente il modo in cui ogni persona vive la propria sessualità. Per cui è evidente che considerare solo uno o parte di questi aspetti risulterebbe riduttivo

Come la psiche e la biologia impattano sulla sessualità

Spesso le persone con corpi non conformi hanno un’immagine corporea negativa e sono insoddisfatte del proprio corpo. Questo può portare delle conseguenze negative anche nella sfera sessuale e nei livelli di piacere ad essa associata, ad esempio può esserci un evitamento delle situazioni che prevedono il denudarsi, il toccare il corpo di qualun*altrǝ o lasciare che il proprio corpo venga toccato.

Nelle persone trans* che intraprendono un percorso di affermazione di genere la modifica dei livelli ormonali di estrogeni e androgeni portano dei cambiamenti anche nel desiderio sessuale e nella forma del corpo, che possono avere un impatto positivo o negativo nella sfera sessuale. Alcune persone che sperimentano disforia – disagio derivato dall’incongruenza fra l’identità di genere e il sesso assegnato alla nascita – possono ricorrere a interventi chirurgici di affermazione di genere. Quest3 ultim3, in generale, riportano un alto grado di soddisfazione sessuale, anche se a seguito di interventi di vaginoplastica possono essere presenti dolore e difficoltà di arousal e/o lubrificazione.

Nelle persone con disabilità ci può essere un’ulteriore difficoltà nella percezione dell proprio corpo come dotato di caratteristiche e funzioni sessuali. Inoltre, le disabilità a livello motorio possono causare una limitata autonomia e la dipendenza dagli altri che potrebbe aver ostacolato l’accesso ad esperienze sessuali

Gli studi sulla sessualità di persone con obesità hanno evidenziato una presenza significativa di problematiche sessuali come la depressione, l’isolamento sociale e la bassa autostima. Questi ultimi elementi sono plausibilmente una conseguenza dello stigma che le persone con obesità spesso subiscono.

Tuttavia, ogni individuo è caratterizzato da una costellazione di numerose peculiarità per cui risulta poco utile generalizzare i vissuti per categorie. Molte persone, infatti, a prescindere dalla propria forma del corpo e dal peso potenzialmente possono vivere la propria sessualità in modo libero, consapevole e soddisfacente

I rischi di farci influenzare da stigma, stereotipi e pregiudizi

Sono diversi gli stereotipi e i pregiudizi che vengono affibbiati alle persone con corpi non conformi. Ad esempio, le persone sovrappeso od obese vengono spesso considerate pigre, meno intelligenti, poco agili, dotate di scarse abilità relazionali, lente, insicure, deboli, ingorde e sporche; le persone trans* sono spesso patologizzate e viste come confuse e perverse; le persone con disabilità vengono spesso considerate poco competenti, delle vittime da compatire e bisognose di cure.

Tutti questi stereotipi si fondano su una scarsa conoscenza dell’altrǝ e portano con sé evidenti conseguenze anche nella sfera sessuale. Inoltre, pensare per macrocategorie non solo priva ognunǝ delle proprie caratteristiche personali ma nel caso della sessualità e dei corpi non conformi può sfociare in due esiti, entrambi spiacevoli. 

Nel primo caso si rischia di invisibilizzare le persone appartenenti a queste categorie, di considerare che la sessualità sia un aspetto trascurabile, di cui non è necessario parlare e più facile nascondere.

Al contrario le persone con corpi non conformi possono essere oggetto di feticizzazione e oggettivazione da parte altrui. In questo caso il consenso assume un ruolo centrale. Il rischio è di ridurre l’intera persona a una singola caratteristica del suo corpo, facendo diventare quest’ultima unico oggetto del proprio piacere sessuale. Farlo a suo insaputa si configura come un abuso sessuale.

Per concludere diventa fondamentale sottolineare l’importanza di garantire alla popolazione generale dei programmi di educazione sessuale che tengano conto delle diversità di ognunǝ. In questo modo sarebbe possibile fornire alle persone con corpi non conformi delle informazioni rispetto alla sessualità in cui possano liberamente rispecchiarsi. Allo stesso tempo educare il resto della popolazione su tematiche spesso poco conosciute potrebbe rivelarsi importante nel ridurre lo stigma e gli stereotipi spesso diffusi. 

Infine, estendere le tipologie di corpi che vengono rappresentate ad esempio nei film, nelle serie tv e nei libri vorrebbe dire permettere alle diversità di entrare nella vita quotidiana di ognunǝ e rompere le barriere che separano il noto dall’ignoto, con fiducia che la conoscenza possa portare al cambiamento di cui abbiamo bisogno

Per approfondire:

Bibliografia:

  • Addlakha, R., Price, J., & Heidari, S. (2017). Disability and sexuality: claiming sexual and reproductive rights.
  • Lindroth, M., Zeluf, G., Mannheimer, L. N., & Deogan, C. (2017). Sexual health among transgender people in Sweden. International Journal of Transgenderism18(3), 318-327.
  • Sarwer, D. B., Lavery, M., & Spitzer, J. C. (2012). A review of the relationships between extreme obesity, quality of life, and sexual function. Obesity surgery22(4), 668-676.
  • Weyers, S., Elaut, E., De Sutter, P., Gerris, J., T’Sjoen, G., Heylens, G., … & Verstraelen, H. (2009). Long-term assessment of the physical, mental, and sexual health among transsexual women. The journal of sexual medicine6(3), 752-760.

Monogamia: è davvero l’unica soluzione?

Uno dei costrutti sociali meno indagati nella nostra cultura è la monogamia. Il fatto che le persone siano monogame è quasi sempre una considerazione consolidata come ovvia, sia in psicologia che nella cultura generale.

DiversЗ autorЗ hanno evidenziato come, nelle culture occidentali odierne, la monogamia sia uno degli aspetti considerati più normali e ideali nella sessualità umana.

La monogamia nella nostra cultura è percepita come perenne e naturale, tuttavia, una rapida rassegna della storia indica che questo stile relazionale è un fenomeno piuttosto recente. Osservando le diverse culture nel mondo nei vari periodi storici emerge infatti che le pratiche monogame in realtà non sono la norma ma un’eccezione. Nonostante ciò, la monogamia non solo viene considerata come normale, ma anche una scelta di tipo ottimale.  

Anche in ambito psicologico molte prospettive implicano, più o meno esplicitamente, che le relazioni monogame siano lo standard o l’ideale. Queste convinzioni permangono nonostante i tassi di tradimento in relazioni definite monogame si attestino tra il 60 e il 70 per cento. 

Tra gli stili relazionali diversi dalla monogamia vi sono le non-monogamie consensuali, che identificano l’insieme delle forme in cui è presente un accordo per cui lЗ partner definiscono accettabile avere più di una relazione sessuale o romantica contemporaneamente.

Ricerche recenti indicano che le relazioni non-monogame consensuali sono una categoria eterogenea, che include una serie di accordi di relazione relativi a: vari tipi di rapporti intrapresi, gradi di trasparenza nella condivisione, termini specifici di condotta concordati o la loro mancanza.

Uno degli elementi che ha il potenziale di impattare negativamente sul modo in cui viene considerato questo gruppo di stili relazionali è la mononormatività.

Pieper e Bauer nel 2005 hanno coniato il termine mononormatività per indicare il sistema di credenze che stabilisce la coppia monogama (ed eterosessuale) come naturale, ottimale e moralmente più elevata. La conseguenza è una stigmatizzazione delle alternative non-monogame che vengono percepite come innaturali, disfunzionali o addirittura perverse.

Alcuni dei bias mononormativi presenti a livello culturale sono ad esempio l’ideale dell’anima gemella, il vero amore, l’idea che l’esclusività sessuale sia una misura dell’impegno relazionale, la credenza che avere unǝ singolǝ partner sessuale e romanticǝ sia una scelta matura. L’influenza di questo tipo di credenze mononormative ha il potenziale di impattare negativamente sul benessere delle persone che si riconoscono come non-monogame consensuali, privilegiando involontariamente le relazioni monogame rispetto ad altri stili relazionali e stigmatizzando di conseguenza i gruppi sociali associati alla pratica delle non-monogamie.

Le indagini sulla percezione delle relazioni monogame in confronto alle relazioni non-monogame confermano questa influenza, evidenziando che le relazioni monogame vengono percepite come più impegnate, passionali, degne di fiducia e sessualmente soddisfacenti.

Secondo una ricerca di Kolmes e colleghЗ del 2006 si può ragionevolmente sostenere che le persone non-monogame soffrano a tutti gli effetti di pregiudizi, incomprensioni ed emarginazione talvolta maggiori rispetto alle persone appartenenti ad altre minoranze LGBTQIA+.

Alla luce di questi dati sembrerebbe sensato chiedersi se non possa essere utile promuovere la validità di altri stili relazionali. In primo luogo per ridurre il pregiudizio negativo e la stigmatizzazione; in secondo luogo perchè, secondo le ricerche, le relazioni non-monogame consensuali risultano essere di fatto funzionali e soddisfacenti. Ad oggi mancano prove della superiorità della monogamia, in particolare per quanto concerne l’adattamento relazionale, i benefici sessuali, la salute sessuale e i benefici per lЗ bambinЗ. Eppure difficilmente, sia nella pratica clinica sia a livello culturale, si promuovono stili relazionali alternativi alla monogamia.

Il percorso verso la riduzione della mononormatività nella pratica clinica e sessuologica in Italia è ancora lungo. Il primo passo è sicuramente l’ampliamento della ricerca sul tema, a partire dalle indagini sulla prevalenza degli stili relazionali non-monogami, di cui ancora non disponiamo.

Un’approccio inclusivo alle relazioni non-monogame consensuali passa in primo luogo attraverso l’acquisizione di una profonda consapevolezza rispetto alle proprie credenze e ai propri pregiudizi, ottenibile considerando non solo gli aspetti individuali, ma anche gli aspetti socioculturali e politici che co-occorrono nella costruzione delle rappresentazioni su ciò che viene considerato “sano e normale”, sia nellǝ professionista che nellЗ clientЗ. 

L’assenza di occasioni formative specialistiche nei percorsi di studi in ambito psicologico e sessuologico è un elemento critico che rischia di mantenere e reiterare assunzioni e bias normativi inconsapevoli, nonostante la volontà da parte dellǝ professionista di porsi in modalità non giudicanti.

L’assenza di proposte formative sufficienti impatta negativamente sul benessere psicologico dellЗ clienti non-monogamЗ stessЗ, che si trovano tutt’ora a incorrere in microaggressioni e discriminazioni anche all’interno dello spazio clinico.

Questo articolo ha voluto evidenziare alcune delle principali tematiche emerse dalla ricerca in relazione alla mononormatività, nella speranza di proporre spunti di riflessione utili per ampliare le proprie conoscenze sul tema e avvicinarsi al tema delle relazioni non-monogame consensuali con uno sguardo non giudicante e attento alla convivenza delle diversità.

Letture consigliate

  • Fern, J. (2020). Polysecure: Attachment, trauma and consensual nonmonogamy. Thorntree Press LLC. (in inglese)
  • Le guide Step by Step di @sessuologia. Oltre la coppia monogama: poliamore e fluidità relazionale. https://sessuologia.store/products/guida-poliamore
  • Barker, M. J., & Iantaffi, A. (2019). Life isn’t binary. Jessica Kingsley Publishers. (in inglese)

Bibliografia

  • Barker, M., & Langdridge, D. (2010). Understanding non-monogamies. New York, NY: Routledge.
  • Conley, T. D., Matsick, J. L., Moors, A. C., & Ziegler, A. (2017). Investigation of consensually nonmonogamous relationships: Theories, methods, and new directions. Perspectives on Psychological Science, 12(2), 205-232.
  • Conley, T. D., Moors, A. C., Matsick, J. L., & Ziegler, A. (2013). The fewer the merrier?: Assessing stigma surrounding consensually non-monogamous romantic relationships. Analyses of Social Issues and Public Policy, 13(1), 1-30.
  • Fern, J. (2020). Polysecure: Attachment, Trauma and Consensual Nonmonogamy. Thorntree Press LLC.
  • Major, B., & O’Brien, L. T. (2005). The social psychology of stigma. Annual Review of Psychology, 56, 393–421.

Nove falsi miti sul sesso anale

Il sesso anale è definito come l’insieme di tutte le pratiche sessuali che coinvolgono l’area ano-rettale e perineale adiacente all’ano. 

Nonostante oggi sia una forma di sessualità più sdoganata rispetto al passato, è però ancora pervasa da una serie di falsi miti e fraintendimenti. Alla base di questi fenomeni vi è senza dubbio una mancanza di dati a livello della letteratura internazionale, che tende a non considerare o addirittura stigmatizzare tale tipologia di rapporto sessuale. Basti pensare che i disturbi e le problematiche del sesso anale non sono stati sistematizzati dalla comunità scientifica e non sono stati ancora inseriti in alcun manuale diagnostico, lasciando molte persone prive di professionistз espertз su queste tematiche. 

Foto di Laura Tancredi da Pexels

Di contro, la maggior parte delle informazioni sul rapporto tra piacere anale e salute ano-rettale sono oggi trasmesse da media, siti web e libri di espertз attraverso articoli non basati su alcuna evidenza scientifica, ma su indicazioni aneddotiche o sul senso comune. È necessario quindi liberare il sesso anale dai falsi miti, per permettere a tuttз coloro che desiderano provarlo di avere una visione più obiettiva di questa pratica.

#1 «Il sesso anale è una moda recente!» 

La storia del sesso anale è una storia che va oltre l’ultimo secolo. Nonostante l’attenzione dei media e della stessa comunità scientifica rispetto alle pratiche di sesso anale sia andata aumentando negli ultimi decenni come conseguenza della rivoluzione sessuale, il sesso anale esiste da sempre ed è stato riportato dagli antropologi in un ampio numero di culture. Sebbene al grande pubblico siano state presentate opere artistiche del sesso anale “omosessuale” (come, ad esempio, le raffigurazioni sulle terrecotte greche, le satire di Marziale o le stampe shuga giapponesi), in realtà questa pratica è stata testimoniata anche in coppie eterosessuali fin dagli albori, come dimostrano i vasi erotici della cultura pre-moderna Moche del Perù.

Hadrian and Antinous in Egypt. Plate VII from “De Figuris Veneris”

#2 «Il sesso anale è solo per i gay!»

Culturalmente e storicamente il sesso anale è sempre stato associato alla comunità omosessuale maschile. Da diversi studi emerge che i rapporti anali sono estremamente diffusi nella popolazione generale in tutto il mondo, indipendentemente da età, identità di genere od orientamento sessuale. Il 30-40% degli uomini e delle donne che si riconoscono come cisgender ed eterosessuale riferisce di aver avuto almeno un rapporto anale nella vita, con una prevalenza che sale al 71-96% negli uomini cisgender gay e nelle persone transgender. Mancano ancora studi specifici della reale prevalenza di questa pratica nella popolazione lesbica, sebbene sia frequentemente riportata dalle donne che si rivolgono allз sessuologз clinicз.

#3 «Il sesso anale è un tipo di sesso penetrativo!»

La penetrazione non è un elemento indispensabile per il sesso anale.

Secondo una definizione ampia fornita da Jack Morin, il sesso anale comprende qualsiasi pratica sessuale (penetrativa o meno) che coinvolge la zona ano-rettale e il perineo adiacente, tra cui rientrano:

  • Sesso anale penetrativo con fallo, cioè con qualsiasi organo od oggetto volto alla penetrazione (es. pene, protesi, sex toys come nel pegging);
  • Fingering ano-perianale, cioè la stimolazione della regione anale e del perineo attraverso le dita;
  • Rimming o anilingus, cioè il sesso orale eseguito a livello perianale e anale;
  • Fisting anale/handballing, cioè il sesso penetrativo anale con una o due mani;
  • Sessualità anale atipica, che comprende tutte quelle attività sessuali anali meno diffuse nella popolazione generale (es. zoofilia anale, clismafilia).

#4 «Il sesso anale è doloroso!»

Dagli studi clinici emerge che fino a 1/3 delle persone che fanno sesso anale prova un dolore moderato-intenso durante la penetrazione

Purtroppo si sa ancora troppo poco sulle sindromi dolorose pelvico-anali, che comprendono due condizioni spesso compresenti tra loro:

  • Anismo: contrazione antalgica ano-rettale, con impossibilità al rilasciamento dei muscoli striati anali e del pavimento pelvico posteriore, che può compromettere il piacere anale e la defecazione;
  • Anodispareunia: dolore alla penetrazione anale associato spesso all’ansia anticipatoria del dolore.

Un’adeguata preparazione anale, comprensiva di pulizia, rilassamento tattile e psichico e utilizzo di lubrificanti per questa zona priva di idratazione naturale  – a differenza della vagina e della vulva –  ma anche una penetrazione controllata e rispettosa riducono l’esperienza dolorosa, permettendo alla persona di provare la sensazione di piacere anale. Lo stato psicologico della persona (in particolare l’ansia prestazionale) incide notevolmente sulla percezione dolorifica che può avere della penetrazione, come anche la presenza di patologie ano-rettali pregresse, come emorroidi e ragadi. In quei casi in cui il dolore persiste, nonostante le comuni accortezze, è sempre importante fermarsi e rivolgersi a unə professionista. Non è normale provare dolore, in nessuna condizione ed è diritto della persona poter accedere a terapie per limitarlo.

#5 «Il piacere anale è dovuto alla stimolazione della prostata!»

La sensazione di piacere e il raggiungimento dell’orgasmo nel sesso anale non dipendono solo dalla stimolazione prostatica, come dimostrano le testimonianze di persone prive di prostata per costituzione anatomica o per interventi chirurgici.Il piacere anale è infatti determinato da una serie di stimolazioni dirette o indirette di zone anatomiche fortemente innervate, tra cui rientrano la prostata, il clitoride e la zona clitorido-uretro-vaginale (CUV) e le fibre nervose della parete anale e del pavimento pelvico, derivate dal nervo pudendo.

#6 «Il sesso anale è sporco ed è richiesta una pulizia intensa!»

L’ano costituisce la parte terminale del canale digerente e tra le sue funzioni ha l’eliminazione dei prodotti di scarto ingeriti attraverso la defecazione. Ciò potrebbe rendere possibile che l’oggetto della penetrazione (pene, toys, mano) possa sporcarsi con residui fecali durante il sesso anale e ciò può generare estremo imbarazzo nellə partner ano-insertivə – impropriamente dettə “passivə” – fino a inibire il desiderio di riprovare questa pratica. Una corretta preparazione anale con lavaggi anali, massaggio ano-perianale pre-penetrativo e una dieta ricca di fibre e povera di grassi può abbattere notevolmente questo rischio, ma non lo azzera del tutto. È quindi importante fare i conti con la possibilità di sporcare lə partner e che ciò è assolutamente normale e umano e non deve portarci a utilizzare pratiche di pulizia intensa che possono anche essere controproducenti o dannose per la salute rettale. L’importante è avere rispetto per se stessз, per il proprio corpo e per lə partner, facendo ricorso a un’igiene intima non eccessiva.

#7 «Il sesso anale fa venire emorroidi e ragadi!»

Questa credenza è sostenuta da diversi blog e siti anche di stampo medico, ma non è stato dimostrato da alcun articolo scientifico che il sesso anale sia un fattore di rischio o addirittura una causa per la patologia, come patologia emorroidaria o le ragadi anali. Appare infatti improbabile che un rapporto anale, con una corretta preparazione, un adeguato rilassamento anale e pelvico e un rispetto dellə partner ano-ricettivə, possa determinare queste patologie. È però vero che il sesso anale può peggiorare la presentazione clinica di una patologia emorroidaria o di una ragade già presenti, rendendo il rapporto anale più doloroso e aumentando il rischio di dolore e sanguinamento, motivo per cui sarebbe indicato astenersi dal rapporto recettivo almeno fino alla guarigione di queste condizioni.

#8 «Il sesso anale fa venire prolassi rettali e incontinenza fecale!»

Anche questa credenza viene spesso sostenuta da blog e siti scientifici, ma, sebbene la necessità di un numero più ampio di studi sull’argomento, sembra che l’evenienza di un prolasso rettale – cioè la discesa delle pareti rettali verso il basso, con ostruzione alla defecazione – sia estremamente poco comune in un rapporto anale consensuale con un fallo di dimensioni medie e con una corretta preparazione anale. Per quanto riguarda l’incontinenza rettalecioè la perdita della funzione di continenza da parte dello sfintere anale –  solo uno studio del 2016 ha evidenziato una maggiore incidenza di questa patologia rettale in persone che fanno abitualmente sesso anale, Diverso è il caso di alcune pratiche anali meno convenzionali (es. fisting, utilizzo di corpi estranei rettali, zoofilia anale, rosebudding) in cui dilatazioni eccessive e continue del complesso ano-rettale possono favorire la discesa delle pareti anali e/o una perdita di funzionalità sfinterica nel corso del tempo, soprattutto se non eseguite con una corretta preparazione e da persone esperte. Anche in questi casi è comunque necessario che la comunità scientifica accumuli ulteriori dati in merito, dato che queste pratiche tendono ad arrivare all’attenzione clinica solo in caso di conseguenze spiacevoli.

#9 «Il sesso anale fa venire il tumore anale!»

Diversi studi hanno mostrato un legame tra sesso anale ricettivo e sviluppo di cancro anale in entrambi i generi, con una correlazione positiva tra frequenza di rapporti anali e rischio tumorale. Secondo diversз autorз, il sesso anale può predisporre al cancro anale attraverso la trasmissione di Papillomavirus (HPV) ad alto rischio tumorigenetico, che possono essere trovati nell’83-95% di queste neoplasie. A prova di ciò, il vaccino quadrivalente anti-HPV ha mostrato un alto tasso di efficacia nella prevenzione della neoplasia anale. Detto questo, la comunità scientifica dovrebbe considerare il rapporto anale come un fattore confondente e non come un fattore causale diretto del cancro anale, perché il vero elemento patogeno è l’infezione da HPV ad alto rischio e non il rapporto stesso. È importante sottolineare quindi che il rapporto anale non deve essere considerato un fattore di rischio per il cancro anale di per sé, ma solo se praticato senza metodi di protezione  – il cosidetto barebacking –  da parte di portatorə di infezione da HPV. Bisogna perciò battersi per la diffusione dell’utilizzo di metodi di protezione nel sesso anale e un accesso più semplice al vaccino per tuttз, di modo da liberare la sessualità anale da questo falso mito.

È importante vedere il  sesso anale con uno sguardo nuovo e obiettivo, basato su evidenze scientifiche, con l’obiettivo di permettere a tutte le persone incuriosite di approcciarsi a questa forma di sessualità senza pregiudizi e con la giusta consapevolezza 

Il sesso anale, per sua natura, supera genitalità e sesso biologico, genere, orientamento sessuale e romantico, relazionalità. Ci sembra giusto che superi anche tutti i falsi miti che si porta con sé. 

Bibliografia:

  • Leichliter, J.S., Chandra, A., Liddon, N., Fenton K.A., & Aral S.O. (2007). Prevalence and correlates of heterosexual anal and oral sex in adolescents and adults in the United States. Journal of Infectious Diseases, 196:1852–9. https://doi.org/10.1086/522867.
  • Wronski, K. (2012). Etiology of thrombosed external hemorrhoids. Postępy Higieny i Medycyny Doświadczalnej, n. 66:41–4.
  • Broholm, M., Møller, H., & Gögenur, I. (2015) Seksuel dysfunktion er hyppig hos patienter med analfistler og analfissurer. Ugeskr Laeger, n. 177:2–4.
  • Palefsky, J.M., Giuliano, A.R., Goldstone, S., Moreira, E.D., Aranda, C., & Jessen, H. (2011). HPV Vaccine against Anal HPV Infection and Anal Intraepithelial Neoplasia. New England Journal of Medicine, n. 365:1576–85. https://doi.org/10.1056/nejmoa1010971.
  • Markland, A.D., Dunivan, G.C., Vaughan, C.P., & Rogers, R.G. (2017). 2009 – 2010 National Health and Nutrition Examination Survey. The American Journal of Gastroenterology, n. 111(2):269-74. 

Per approfondire:

L’orologio biologico: un mito da sfatare

Ancora oggi tantissime donne quando immaginano il proprio futuro, fin da bambinЗ, contemplano la genitorialità come aspetto – e talvolta obiettivo – centrale nella propria vita. 

Anche se negli ultimi anni il desiderio di genitorialità ha lasciato spazio ad altri aspetti della vita, quali ad esempio lo studio, la carriera, la soddisfazione personale ecc., moltissime donne sentono ancora la pressione di «riuscire a sistemarsi e a fare un figlio entro i 35 anni». 

Questa preoccupazione spesso sottende una credenza che prende il nome di “orologio biologico”.

Esattamente l’orologio biologico che cos’è?

Comunemente con “orologio biologico” ci si riferisce al fatto che la fertilità femminile non è perenne e che, ad un certo punto, la possibilità di avere unǝ figliǝ si riduce notevolmente. 

Dal punto di vista biologico, in effetti, la fertilità declina con il passare del tempo  – oltre una certa età – è molto più difficile riuscire a concepire unǝ figliǝ.

La questione dell’orologio biologico – come comunemente inteso a livello culturale – però è più complessa rispetto al mero piano biologico e sottende degli importanti elementi di pregiudizio e discriminazione.

Moira Weigel, nel suo libro “Labor of Love: the invention of dating”, analizza il concetto di orologio biologico partendo dalla sua origine. 

Originariamente questo termine si utilizzava in ambito scientifico e si riferiva ai ritmi circadiani di sonno veglia. Esso è stato estrapolato dall’ambito scientifico ed è stato associato per la prima volta al tema della fertilità femminile solo nel 1978, in un articolo del Washington Post scritto da un opinionista, Richard Cohen.

Questa definizione di orologio biologico – ovvero il fatto che la fertilità femminile ha una data di scadenza a breve termine – si è diffusa velocemente nell’opinione pubblica, radicandosi nella nostra cultura. 

Ancora oggi, infatti, la fertilità delle persone socializzate femmine viene accostata all’orologio biologico e a essa sono associate diverse credenze, spesso errate. 

Photo by Timothy Meinberg on Unsplash

A tal proposito la psicologa Jean M. Twenge, in un articolo del 2013, ha mostrato che queste statistiche derivano da uno studio del 2004 che si basa su dati riguardanti le nascite in Francia raccolti tra il 1670 e il 1830, dunque non rappresentativi rispetto alla possibilità di essere fertili o meno nel contesto sociale attuale. Secondo Twenge questo è uno degli esempi più spettacolari di come i media possano fallire nell’interpretare e riportare i dati delle ricerche scientifiche.
«In altre parole, a milioni di donne viene detto quando dovrebbero rimanere incinta basandosi su statistiche di un periodo precedente a elettricità, antibiotici e trattamenti per la fertilità» (Twenge)

Con questo articolo non si vuole mettere in discussione l’incidenza dell’età sulle possibilità riproduttive, si riconosce infatti che vi sono ampie evidenze scientifiche a supporto della correlazione tra aumento di età e declino di fertilità.

Ciò che risulta interessante però è che a fronte di un’equa incidenza di infertilità e una simile diminuzione di fertilità di tutti i generi in relazione all’età, il concetto di orologio biologico sia associato solo al genere femminile, senza prendere in esame la condizione maschile.
A tal proposito si riporta quanto scritto da Moira Weigel in un suo articolo sul The Guardian:«la storia dell’orologio biologico è una storia riguardante scienza e sessismo». Secondo l’autrice è infatti evidente come le assunzioni riguardanti il genere possano strumentalizzare la divulgazione delle ricerche scientifiche per servire fini sessisti.

Come mai il declino della fertilità, a livello culturale, è solo una questione femminile?

Nel sopracitato articolo di Cohen pubblicato nel 1978 sul Washington Post emerge un tono critico riguardo l’emancipazione lavorativa femminile. In effetti il periodo in cui l’articolo di Cohen è stato scritto,, è proprio la fine degli anni ’70, momento in cui la presenza femminile nel mercato del lavoro statunitense è fortemente in crescita e la nuova definizione di orologio biologico ha cominciato a diffondersi e a fissarsi nella nostra cultura. 

Per comprendere la diffusione del concetto di “orologio biologico” legato alla fertilità femminile è importante sottolineare che l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro degli anni ‘70 ha messo in discussione l’ordine sociale in quanto ha inciso direttamente sulle rappresentazioni e le prescrizioni di genere.  Secondo tale “ordine sociale”, le donne infatti si dovrebbero occupare solamente della vita privata, della casa e della famiglia, lasciando agli uomini le relazioni con il mondo esterno e il compito di procacciare le risorse per il sostentamento della famiglia (Rudman e Glick, 2010). 

Il concetto dell’orologio biologico permette di contrastare la crisi dei ruoli sociali tradizionali rinforzando una specifica pressione sociale sulle donne nei confronti del presunto desiderio istintivo di maternità, alimentando in esse il timore che potrebbero in futuro pentirsi di non aver avuto figlЗ e il senso di colpa per aver preferito la carriera alla maternità. 

Sostanzialmente l’orologio biologico diventa un’arma per contrastare gli effetti dell’emancipazione femminile.

Potremmo interpretare questi eventi come un esempio di backlash (Rudman, 1998), ovvero una forte reazione della società ai tentativi di emancipazione femminile per ristabilire lo status quo. In altre parole la società spinge verso una maggiore prescrittività del ruolo tradizionale femminile, secondo cui le donne sono fatte per essere madri e non lavoratrici, contrastando i tentativi di raggiungere l’eguaglianza di genere.

«Ci sono cose di cui noi uomini non dovremo mai preoccuparci. Come il ticchettare dell’orologio biologico. […] Qui è dove finisce la liberazione femminile» (Cohen)

Photo by Vitolda Klein on Unsplash

Come si evince dalla citazione riportata, nel suo articolo, Cohen non perde occasione per evidenziare il fatto che il discorso riguardante la fertilità sia un problema esclusivamente femminile: sono le donne a doversi preoccupare della propria fertilità e a dover progettare la propria vita, privata e lavorativa, in base alla volontà di diventare madri. Successivamente, una volta divenute madri, la maggior parte del lavoro di cura sarà a carico loro (Belotti, 1973).

Pensare che il tema della genitorialità riguardi solo ed esclusivamente le donne e non sia in alcun modo dipendente dalla volontà maschile è profondamente negativo per tutti i generi

Questo tipo di narrativa, infatti, continua a rinforzare gli stereotipi alla base del sessismo e delle differenze di genere. Le donne sono “communal” , ovvero hanno l’obiettivo di entrare in relazione con le altre persone, quindi spetterà loro il compito di occuparsi della prole; gli uomini , invece, sono “agentic”, ovvero sono focalizzati al raggiungimento dei proprio obiettivi personali e alla soddisfazione dei propri bisogni, quindi si occuperanno di lavorare e procacciare le risorse (Bakan, 1966; Fiske, Cuddy e Glick, 2007).

Gli stereotipi e le prescrizioni sociali tradizionali di genere riducono le possibilità di immaginarsi e di diventare ciò che si desidera, perseguendo i propri obiettivi. 

Ad esempio, secondo i ruoli tradizionali, alle donne non è concesso di essere competenti, competitive e assertive e agli uomini non è concesso di essere affettuosi, sensibili e poco ambiziosi. Tali stereotipi non impattano unicamente sul genere femminile e quello maschile, ma anche sulle persone non binarie che vengono invisibilizzate, invalidate e discriminate. 

In una società sessista si continuerà a considerare con sospetto un uomo che afferma la propria volontà di lasciare il lavoro per rimanere a casa ad occuparsi dellЗ propriЗ bambinЗ e si continuerà a giudicare negativamente una donna che decide di ricorrere alla sterilizzazione perché ama il proprio lavoro ed è certa che di bambinЗ non ne vorrà mai.

Sicuramente è da considerare il fatto che l’articolo di Cohen risale al 1978. Oggi molti uomini ricoprono ruoli di cura genitoriale e/o domestica e molte donne lavorano. Nonostante questo siamo molto lontanЗ dal raggiungimento della parità di genere, basti pensare alle differenze nei congedi genitoriali (10 giorni per paternità e 5 mesi per maternità) o al gender gap in ambito lavorativo (differenze salariali e tasso di disoccupazione). 

Inoltre, le pressioni sociali e i pregiudizi sessisti continuano a impattare negativamente sulle persone di ogni genere, ogni qualvolta esse decidano di distanziarsi dai ruoli tradizionali.

Letture consigliate

  • Volpato, C. (2013). Psicosociologia del maschilismo. Gius. Laterza & Figli Spa.
  • Rudman, L. A., & Glick, P. (2021). The social psychology of gender: How power and intimacy shape gender relations. Guilford Publications.
  • Belotti, E. G. (1973). Dalla parte delle bambine. Feltrinelli.

Bibliografia

  • Bakan, D. (1966). The duality of human existence: an assay on psychology and religion. Rand MacNally.
  • Belotti, E. G. (1973). Dalla parte delle bambine. Feltrinelli.
  • Cohen, R. (1978). The Clock Is Ticking For the Career Woman. The Washington Post https://www.washingtonpost.com/archive/local/1978/03/16/the-clock-is-ticking-for-the-career-woman/bd566aa8-fd7d-43da-9be9-ad025759d0a4/?utm_term=.54e1781a98d7
  • Fiske, S. T., Cuddy, A. J., & Glick, P. (2007). Universal dimensions of social cognition: Warmth and competence. Trends in cognitive sciences, Vol. 11, No. 2, 77-83.
  • Momigliano, A. (2016). L’amore ai tempi dell’orologio biologico. Rivista Studio http://www.rivistastudio.com/standard/orologio-biologico/
  • Rudman, L. A. (1998). Self-promotion as a risk factor for women: The costs and benefits of couter-stereotypical impression management. Journal of Personality and Social Psychology, 74, 629–645.
  • Rudman, L. A., & Glick, P. (2010). The social psychology of gender: How power and intimacy shape gender relations. Guilford Press
  • Twenge, J. M. (2013). How long can you wait to have a baby? The Atlantic. https://www.theatlantic.com/magazine/archive/2013/07/how-long-can-you-wait-to-have-a-baby/309374/
  • Weigel, M. (2016). The foul reign of the biological clock. The Guardian https://www.theguardian.com/society/2016/may/10/foul-reign-of-the-biological-clock

Asterisco supporta il Pride di Cremona e il suo impegno a favore del cambiamento sociale

Sabato 4 giugno si è tenuto il Cremona Pride, manifestazione che vede la partecipazione dellЗ cittadinЗ che sentono vicino e impellente il bisogno di ricevere diritti e tutele in quanto appartenenti alla comunità LGBTQIA+. La comunità LGBTQIA+ è ancora oggi, soprattutto nel contesto socio-culturale italiano, un gruppo minoritario la cui esistenza è considerata spesso illegittima. Numerosi articoli scientifici hanno dimostrato come le persone appartenenti a questa comunità abbiano un minor accesso alle risorse riguardanti la salute psicofisica e un maggior tasso di suicidi.

Ogni anno migliaia di persone manifestano con calore e colore con l’obiettivo di far sentire la propria voce, urlare la propria esistenza per farsi riconoscere dalle istituzioni e dalla classe politica che spesso, purtroppo, non fa altro che alimentare il pregiudizio, delegittimando ogni forma di uguaglianza sociale. Questo è solo un piccolo riassunto non esaustivo della complessità delle istanze che si riuniscono ogni anno, in quasi ogni città d’Italia.

Se queste sono le premesse, viene da chiedersi cosa abbia visto l’autorə dell’articolo in prima pagina pubblicato oggi 6 giugno 2022 da “La Provincia”, quotidiano di Crema – in completo anonimato – e gli illuminatissimi illustri opinionisti citati.

Il Cremona Pride non è stato nulla di quello che è stato raccontato in quell’articolo che di blasfemo aveva, forse, la scelta editoriale.

Cominciamo con una questione importante: considerare il Pride come “una festa colorata” è una forma di delegittimazione che cancella completamente le motivazioni sottostanti la scesa per le strade dellз cittadinз. Basare l’intera consistenza dell’articolo su un totale di 434 commenti indignati sui social fa quantomeno sorridere, considerato che la provincia di Cremona, stando alle rilevazioni Istat, ci sono più di 350000 abitanti. Salvini ha definito il Pride di Cremona come «un’esibizione di ignoranza e arroganza». Lo stesso commento potrebbe essere traslato a quei commenti che rappresentano lo 0,1% dellЗ cittadinЗ.

L’intento molto probabilmente era quello di dare un framing negativo – ovvero una cornice narrativa che influenza la lettura morale degli avvenimenti – con l’intento di giustificare le opinioni di tre persone: un imprenditore, un politico e un religioso.

Questa è una triade molto comune nelle narrazioni conservatrici in cui si dà molto più risalto a opinioni di persone che appartengono a gruppi sociali avvantaggiati, che hanno anche un eccessivo accesso a risorse economiche, di cura e di scolarizzazione a scapito di altre, il cui obiettivo è quello di mantenere lo status quo immutato. D’altronde cosa possono saperne loro di cambiamento sociale?

In aggiunta, il taglio dell’articolo richiama molto spesso il disgusto morale. Viene dato risalto a una raffigurazione “blasfema” di una madonna a seno nudo. AltrЗ potrebbero vedere la rappresentazione di una donna consapevole del proprio corpo e del modo in cui vuole vivere e mostrare le proprie identità, anche sessuali. Chi si occupa di discriminazione e pregiudizio non avrebbe dubbio nell’etichettare una madonna a seno nudo come una visione sessista del corpo femminile. Focalizzarsi solo sul seno – i cui i capezzoli sono stati anche censurati – e non su altro è una visione piuttosto oggettivante del corpo femminile. A questo si aggiunge la visione di sacralità che ogni donna dovrebbe fare propria: una visione che le rende persone dalla moralità incrollabile e, al contempo, schiave di norme sociali stigmatizzanti. Una visione quanto meno antiquata per una classe dirigenziale e politica che cerca rappresentanza e consensi nel 2022.

Non fa certo stupore che Matteo Salvini sia intervenuto su un non-caso del genere. Questo la dice lunga sulla sua agenda politica. Come possono stupire interventi di questo tipo dopo l’utilizzo strumentale quotidiano che Salvini fa su social e media generalisti dei gruppi minoritari svantaggiati?

Il fatto che vengano raccontate alcune cose a scapito di altre la dice lunga sul framing negativo utilizzato nell’articolo. Nessuna citazione, casualmente, della presenza di famiglie, mamme con bambinЗ – anche molto piccoli nelle carrozzine – papà amorevoli, coppie che si tenevano per mano, giovani e non che cantavano a squarciagola la necessità vitale di essere riconosciuti e tutelati. Completamente cancellati i discorsi degllЗ organizzatorЗ del Pride, delle organizzazioni promotrici e dell’intervento di Adrian Fartade, unə dellЗ più famosЗ e apprezzatЗ divulgatorЗ scientificЗ. Fartade ha raccontato alla platea di come recentemente è statə vittima di violenza da un gruppo di persone che non tolleravano la sua immagine e la sua identità. Negare l’esistenza di questo discorso, che ha commosso l’intera piazza Stradivari, significa cancellare il dolore e le molestie che le persone appartenenti alla comunità LGBTQIA+ subiscono ogni giorno, arrivando a rischiare la propria vita semplicemente perché non vogliono nascondere la propria esistenza, rivendicando lo stesso diritto di esistere dell’imprenditore, del politico e del religioso.

La presenza di bambinЗ e la violenza nei confronti delle persone LGBTQIA+ – ma vale anche per qualsiasi altro gruppo minoritario, si pensi alle persone migranti – vengono spesso cancellate dalla narrazione della destra conservatrice. Il motivo è presto detto: la narrazione conservatrice di destra vuole evitare a tutti i costi che si empatizzi e si provino emozioni compassionevoli nei confronti di persone appartenenti a gruppi sociali svantaggiati. Il rischio matematico è che si possa provare vicinanza per queste persone e che ci si unisca alle loro battaglie legittime. E questo il conservatorismo religioso e politico non può permetterselo.

Chi ha descritto il Pride di Cremona come qualcosa di blasfemo ha utilizzato il proprio sistema di valori – del tutto soggettivo e discutibilmente condivisibile – per interpretare una legittima partecipazione politica in cui lз cittadinз hanno scelto di manifestare la necessità di un cambiamento sociale importante. Un cambiamento sociale che non viene innescato nemmeno dalla controparte politica “progressista” che ancora oggi a livello locale e nazionale si vergogna a far proprie le istanze di queste persone.

Stefano Daniele Urso,
psicologo sociale, presidente dell’associazione Asterisco.

Foto di copertina di Mercedes Mehling on Unsplash

Bi+ who you are: l’ombrello della bisessualità

La bisessualità è un orientamento sessuale che fa riferimento all’attrazione verso più di un genere e corrisponde alla “B” dell’acronimo LGBTQIA+. Spesso si usa il termine bisessualità come termine ombrello che include una varietà di identità ed esperienze che verranno descritte di seguito.

Le persone che si identificano come bisessuali sono attratte sia dal genere uguale al proprio sia da generi diversi dal proprio. Quando l’attrazione verso un solo genere è predominante, ma non esclusiva, possono essere preferiti termini come eteroflessibilità o omoflessibilità. Coloro che si identificano come pansessuali trovano che il genere di una persona sia irrilevante nel determinare l’attrazione, mentre il termine queer è utilizzato per mettere in discussione l’intera visione binaria dei generi e della sessualità. Fanno parte dell’ombrello della bisessualità anche le persone che percepiscono la propria sessualità come fluida e variabile nel tempo (Bowes-Catton, 2007). Se si prendono in considerazione altri tipi di attrazione, come per esempio quella romantica, questi termini sopracitati possono essere declinati di conseguenza: biromanticismo, panromanticismo, omniromanticismo, ecc.

Photo by Jana Sabeth on Unsplash

L’utilizzo del termine bisessualità come termine ombrello è stato spesso criticato, poiché rischia di sostenere la centralità nel genere per determinare l’attrazione. Nonostante queste problematiche, il termine è ancora il più utilizzato in campo politico per le pari opportunità, dai gruppi LGBTQIA+, dallз ricercatorз e da chi si impegna attivamente a fianco di coloro che sono attrattз da più di un genere. In questo articolo parleremo di ombrello bi+ per fare riferimento a tutte le persone che non si identificano come monosessuali

Attrazione, comportamento e identità bi+

Non tutte le persone che provano attrazione verso più di un genere si identificano come bi+. Infatti, l’attrazione, il comportamento e l’identità sessuale sono tre aspetti fra loro distinti (Barker et al., 2012). Per esempio, qualcunə può provare attrazione e avere comportamenti sessuali verso più persone di generi differenti, ma non identificarsi all’interno dello spettro bi+. Così come qualcun*altrə può provare attrazione verso più generi e identificarsi come persona bi+ senza avere mai fatto esperienza di comportamenti bi+.

Un rettangolo rappresenta l'attrazione BI+, al suo interno un cerchio più piccolo rappresenta i comportamenti BI+, un cerchio ancora più piccolo interseca il cerchio dei comportamenti e rappresenta l'identità BI+
L’attrazione BI+ è l’insieme più grande, alcune persone provano questo tipo di attrazione ma non hanno comportamenti correlati alla propria attrazione BI+ e non si identificano nell’ombrello BI+. Chi ha comportamenti correlati alla propria attrazione BI+ non necessariamente si identifica nell’ombrello BI+. Chi si identifica come persona BI+, non necessariamente deve attuare comportamenti correlati al proprio orientamento BI+.

  In base all’aspetto che si prende in considerazione cambia anche la prevalenza della bisessualità nella popolazione generale, rendendo difficoltoso fare delle stime accurate. L’Office for National Statistics del Regno Unito ha riportato che l’1,1% delle persone sopra i 16 anni si identificano come bisessuali. Uno studio americano (Mosher et al., 2005) ha rilevato che le percentuali sono molto più alte se si prende in considerazione l’attrazione e il comportamento sessuale al posto dell’identità.

Le stime della prevalenza della bisessualità, ovviamente, non sono e non devono essere in alcun modo connesse alla necessità di assicurare alle persone bi+ eguaglianza e libertà dalle discriminazioni. Questi infatti sono diritti fondamentali che prescindono l’identità o l’attrazione sessuale.

Stereotipi, Pregiudizi e Bifobia

Le esperienze e le identità bi+ mettono in discussione la visione binaria della sessualità profondamente radicata nella società occidentale e caucasica. Mettendo in crisi la dicotomia fra eterosessualità e omosessualità, le persone bi+ si trovano spesso forzate in una di queste due categorie. In ogni caso è bene ricordare che qualunque orientamento sessuale diverso dall’eterosessualità è soggetto a eterosessismo ed eteronormatività.

Le ricerche scientifiche (es. Brewster & Moradi, 2010) hanno dimostrato che gli individui bi+ sono soggetti al pregiudizio bisessuale, una forma di pregiudizio differente dal pregiudizio omosessuale. Il pregiudizio bisessuale – o più impropriamente chiamato “bifobia” – è definito come un insieme di atteggiamenti, comportamenti e strutture negative specificatamente dirette verso le persone bi+. Esso è evidente nel perpetuarsi di specifici stereotipi negativi, nella negazione della bisessualità e nella sua invisibilizzazione, esclusione e marginalizzazione. Questi fenomeni sono presenti purtroppo ancora oggi in molteplici settori e contesti: i media mainstream, le comunità gay e lesbiche, la ricerca scientifica, la psicologia e psicoterapia, la politica e la legislazione.

Fra gli stereotipi negativi maggiormente diffusi troviamo l’assumere che le persone che si identificano come bi+ siano promiscue, manipolatorie, portatrici di malattie sessualmente trasmissibili, incapaci di intraprendere delle relazioni monogame, che siano delle minacce per le relazioni o per le famiglie e che siano sempre sessualmente disponibili con chiunque. Un altro falso mito è che a lungo termine le persone bi+ prediligano le relazioni eterosessuali per mantenere i propri privilegi nella relazione monogama. Altre volte ancora gli individui bi+ possono essere usati come veri e propri fetish in risposta a fantasie sessuali, come per esempio il sesso a tre.

Photo by Alvin Mahmudov on Unsplash

La negazione della bisessualità avviene ogni qual volta le persone che si identificano come bi+ vengono percepite come “confuse” riguardo alla propria sessualità o come se fossero in uno stato di transizione che dovrà culminare nell’eterosessualità o nell’omosessualità.

Un esempio di invisibilizzazione è il dedurre l’orientamento sessuale osservando solamente l’espressione di genere dellə/з partner attuale/i. Oppure quando,  in assenza di comportamenti sessuali bi+,  si mette in discussione l’identità bi+ di qualcunə. Teniamo a mente però che l’eterosessualità è raramente questionata prima di avere avuto esperienze sessuali con qualcunə di un genere diverso dal proprio.

L’esclusione bi+ si esprime nell’assenza di servizi specifici per le persone bi+ e nell’aspettativa che queste usino una combinazione dei servizi per eterosessuali e per gay e lesbiche. Inoltre, anche nel trasmettere messaggi che fanno riferimento alle minoranze sessuali, le tematiche bi-specifiche vengono spesso trascurate.

La marginalizzazione della comunità bi+ è evidente quando si permette che commenti discriminatori nei confronti di persone bi+ passino incontrastati, quando si assume che la bisessualità possa essere oggetto di ironia accettabile, quando si da maggiore priorità alle tematiche eterosessuali o gay/lesbiche rispetto a quelle bi+ e quando si pongono molte domande rispetto alla bisessualità di una persona in modi che sarebbero considerati offensivi per individui di altri orientamenti sessuali. 

Come risultato di questi fenomeni, le persone bi+ sono soggette ad una doppia discriminazione, che avviene sia da coloro che si identificano come etero sia da coloro che si identificano come gay o lesbiche

Purtroppo, il pregiudizio bisessuale è ancora oggi poco riconosciuto e molto diffuso nei vari contesti scolastici, lavorativi, sportivi, della giustizia e della salute. Questo ha delle ripercussioni anche sulla salute fisica e mentale delle persone bi+, determinando una minore qualità di vita e di benessere generale. Appare quindi evidente la necessità di accrescere la conoscenza in questo campo e di impegnarsi attivamente per interrompere questa tendenza a una discriminazione silente e ingiustificata delle persone bi+.

Bibliografia

  • Barker, M. J. (2017). Gender, sexual, and relationship diversity (GSRD). British Association for Counselling and Psychotherapy. https://www.bacp.co.uk/media/5877/bacp-gender-sexual-relationship-diversity-gpacp001-april19.pdf 
  • Barker, M., Richards, C., Jones, R., Bowes-Catton, H., Plowman, T. (2012). The Bisexuality Report: Bisexual inclusion in LGBT equality and diversity.  Milton Keynes: The Open University, Centre for Citizenship, Identity and Governance. Available from: www.open.ac.uk/ccig/sites/www.open.ac.uk.ccig/files/The%20BisexualityReport%20Feb.2012_0.pdf 
  • Brewster, M. E., & Moradi, B. (2010). Perceived experiences of anti-bisexual prejudice: Instrument development and evaluation. Journal of Counseling Psychology, 57(4), 451–468.  doi:10.1037/a0021116
  • Bowes-Catton, H. (2007). Resisting the binary: Discourses of identity and diversity in bisexual politics 1988-1996. Lesbian & Gay Psychology Review, 8 (1), 58-70. 
  • Mosher, W. D., Chandra, A., & Jones, J. (2005). Sexual behaviour and selected health measures: Men and women 15-44 years of age, United States, 2002. Advance data from vital and health statistics, no. 362. Hyatsville, MD: National Center for Health Statistics. 

Approfondimenti

Foto in copertina di Joel Muniz.

Mascolinità egemonica: quando il maschile è sfavorevole

Sebbene le ricadute cliniche e sociali delle mascolinità e delle norme di genere siano ancora particolarmente evidenti al giorno d’oggi, negli ultimi anni la letteratura scientifica ha permesso una comprensione più profonda di questi fenomeni.

È stato dimostrato che fin dalla prima infanzia le interazioni sociali forniscono un quadro culturale di riferimento attraverso cui tutte le persone apprendono le aspettative sociali legate al proprio sesso assegnato alla nascita. A tal proposito, il contesto di appartenenza contribuisce a definire i premi e le sanzioni associate al conformarsi o meno alle norme maschili. 

Photo by Engin Akyurt on Unsplash

La cultura è una variabile fondamentale che influenza la trasmissione di credenze e comportamenti legati al ruolo di genere. 

È importante tenere a mente che la discussione di quanto segue verterà sulle norme di genere che hanno caratterizzato la nostra cultura occidentale/europea, in cui sembrano essere maggiormente pressanti e rigide per gli uomini rispetto alle donne. Tuttavia, una futura disamina che comprenda l’analisi di altre e diverse culture permetterà una consapevolezza maggiore del fenomeno.

Gli effetti della mascolinità egemonica sulla società

I primi studi che hanno affrontato il tema della mascolinità si sono focalizzati sull’impatto che questa può avere sul genere femminile, analizzando ad esempio le conseguenze della mascolinità egemonica. Connell e Messerschmidt definiscono la mascolinità egemonica come l’insieme di azioni e pratiche che contribuiscono al predominio degli uomini, legate alla mascolinità più tradizionale, esemplare, e altamente visibile, nel nostro contesto culturale. La violazione di tali norme di mascolinità socialmente imposte (ad esempio evitare espressioni di femminilità, emozioni e sentimenti, e prediligere aggressività e autosufficienza) è solitamente sanzionata dalla società. L’adozione di una definizione rigida e stereotipata di mascolinità, potenzialmente in interazione con atteggiamenti sessisti, patriarcali o misogini, è stata associata all’insorgenza di episodi di violenza contro il genere femminile. Knutson e Goldbach, della Southern Illinois University, suggeriscono che aspettative e credenze molto rigide legate alle norme di genere maschile possono dare adito ad atti di violenza contro persone che non si adattano pienamente a tali standard, come persone trans o genderqueer.

Gli effetti della mascolinità egemonica sugli uomini

La letteratura psicologica ha evidenziato che l’aderenza a ideali tradizionali e egemonici legati alla mascolinità è potenzialmente dannosa per la salute mentale, relazionale e comportamentale di ragazzi e uomini stessi. In particolare, è stato dimostrato dalle ricerche di Joseph Vandello che gli uomini provano maggiori stati di stress e ansia quando si sentono lontani dallo stereotipo maschile, e tentano di dimostrare e riaffermare la propria mascolinità per ridurre lo stato spiacevole che provano. Il fatto che allontanare i bisogni emotivi e relativi alla propria salute mentale sia un elemento intrinseco della mascolinità stessa, ha ricadute ancor più gravi sulla salute di questi ultimi.  Date tali premesse, l’American Psychological Association (APA) ha pubblicato nel 2018 le Linee guida per la pratica clinica con ragazzi e uomini, con l’obiettivo di promuovere trattamenti mirati, i quali prendano in considerazioni il sistema di valori e le norme associati alla mascolinità.

Oltre la mascolinità cisgender

Adottando una visione contemporanea, che contempla l’identità di genere di una persona come fluida, è importante riflettere sul modo in cui le norme maschili possono essere internalizzate da ragazzi e uomini transgender. Le ricerche di Knutson e Goldbach  hanno dimostrato che gli uomini o i ragazzi transgender possono sentirsi spinti a presentarsi come più maschili per evitare discriminazioni e minacce, invece di vivere con libertà la loro espressione di genere. A tal proposito, è necessario tenere a mente che la concezione binaria del genere, ovvero composto da due categorie mutualmente escludenti, è stata ampiamente messa in discussione (come abbiamo discusso in questo precedente articolo). Un progressivo allontanamento dalla concezione binaria ha accolto la possibilità di sovrapposizione e fluidità di categorie sociali, compreso il genere. In quest’ottica, futuri studi saranno necessari per allontanare il concetto di mascolinità da un’espressione di genere univoca, analizzando l’impatto e l’adozione di norme legate ad essa da parte di persone con identità di genere non conforme.

La mascolinità egemonica non è l’unica espressione del maschile, ma rappresenta una estremizzazione di alcuni comportamenti e credenze culturalmente trasmessi. È importante riconoscere che la definizione di maschile non è associata a un’unica espressione di genere, ma a persone con identità o espressioni di genere diverse.

Bibliografia

  • American Psychological Association. (2018). APA Guidelines for Psychological Practice with Boys and Men: (505472019–001). https://doi.org/10.1037/e505472019-001
  • Anzani, A., Pavanello Decaro, S., & Prunas, A. (2022). Trans Masculinity: Comparing Trans Masculine Individuals’ and Cisgender Men’s Conformity to Hegemonic Masculinity. Sexuality Research and Social Policy, 1-9.https://doi.org/10.1007/s13178-021-00677-5
  • Connell, R. W., & Messerschmidt, J. W. (2005). Hegemonic masculinity: Rethinking the concept. Gender & Society, 19(6), 829–859. https://doi.org/10.1177/0891243205278639
  • Knutson, D., & Goldbach, C. (2019). Transgender and non-binary afrmative approaches applied to psychological practice with boys and men. Men and Masculinities, 22(5), 921–925. https://doi.org/ 10.1177/1097184X19875174
  • Levant, R. F. , McDermott, R. , Parent, M. C., Alshabani, N. , Mahalik, J. R., & Hammer, J. H. (2020). Development and evaluation of a new short form of the Conformity to Masculine Norms Inventory (CMNI30). Journal of Counseling Psychology, 67(5), 622–636. https://doi.org/10.1037/cou0000414
  • Rivera, A., & Scholar, J. (2020). Traditional masculinity: A review of toxicity rooted in social norms and gender socialization. Advances in Nursing Science, 43(1), E1–E10. https://doi.org/10.1097/ANS.0000000000000284

Per approfondimenti

  • (In inglese) Pascoe, C. J., & Bridges, T. (2016). Exploring masculinities: Identity, inequality, continuity, and change. Brockport Bookshelf. 391.

Educazione Sessuale Inclusiva: il Manifesto di Asterisco

Questo è il Manifesto di educazione sessuale inclusiva di Asterisco.

Ha l’obiettivo di esplicitare i nostri valori, i nostri intenti e di accompagnare la lettura di tutti i nostri futuri contributi sul tema della sessualità. Ci auguriamo possa diventare un punto di riferimento per tutte le persone che decidono di approcciarsi al tema della sessualità e dell’educazione sessuale con uno sguardo attento alle diversità.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, 2006) la salute – di cui quella sessuale è parte integrante – è un diritto fondamentale di ciascuna persona.
La promozione della salute e del benessere sessuale richiede di affrontare il tema della sessualità in maniera etica e scientifica, con un’attenzione a non ridurne la complessità e valorizzando le diversità. Già da alcuni anni si parla di «educazione sessuale comprensiva» (UNPFA, 2020), «estesa» e «integrata» (Verde & Del Ry, 2004). In Asterisco abbiamo elaborato una nostra visione di ciò che un’educazione sessuale inclusiva dovrebbe essere partendo da un’analisi critica delle fonti in letteratura e integrandola con le nostre esperienze multidisciplinari.
Parleremo di sessualità e di educazione sessuale in senso esteso, nel pieno rispetto di tuttЗ.

Cos’è la sessualità per Asterisco?

La nostra visione di sessualità è bio-psico-sociale. La sessualità è un insieme di diverse dimensioni che si estendono dal livello biologico “micro” (fenotipo, cromosomi ecc.), sino al livello sociale “macro” (espressione di genere). Essa riguarda numerosi aspetti della persona: corpo, sensi, zone erogene, genitali (conformi o meno), psiche, cervello, funzionamento neurologico (tipico/atipico), attrazione (sessuale, romantica, estetica e non solo), relazione (fisica, affettiva, platonica, ecc.), pratiche sessuali (tipiche/atipiche), desiderio, fantasie, riproduzione, aborto, diritti, salute, MTS, orientamento sessuale, orientamento romantico, orientamento relazionale, identità di genere, espressioni di genere, ruoli di genere e stili relazionali.

La sessualità è una componente presente in tutti i livelli di analisi, dalla biologia alla cultura/società di appartenenza. Per questo motivo, quando si parla di sessualità, devono essere tenuti in considerazione e affrontati tutti i seguenti elementi:

  • Tutte le persone hanno valore, nel corpo e nella mente. Promuoviamo il rispetto dell’unicità e delle diversità, scardinando i concetti di “normalità/anormalità” e “tipicità/atipicità” rispetto alla sessualità;
  • Tutte le persone hanno diritto alla salute e al benessere sessuale, che non segue standard, è personale ed è parte imprescindibile del benessere globale dell’individuo;
  • Tutte le persone hanno diritto al piacere, sia in autonomia sia in condivisione. Il piacere non è obbligatorio, è soggettivamente determinato, cioè definito da ogni singolo individuo per sé. Il piacere deve essere il centro del discorso sulla sessualità;
  • La sessualità è un diritto e non un dovere. Esercitare questo diritto prevede il rispetto dei diritti altrui;
  • Il consenso alla sessualità deve essere esplicito ed entusiasta. Qualsiasi pratica o attività sessuale deve fondarsi sul consenso esplicito ed entusiasta da parte di tutte le persone coinvolte. Le persone devono essere consapevoli di ciò che succede e acconsentire in modo chiaro,comprensibile e con convinzione. Il consenso è un processo continuo e può essere tolto il qualsiasi momento;
  • Le persone hanno il diritto alla consapevolezza e all’autodeterminazione. Ogni identità, espressione, orientamento, stile relazionale ha valore;
  • La sessualità riguarda tutto il ciclo di vita delle persone: è un elemento che appartiene a qualunque età, dal periodo prenatale fino alla morte − e, in alcune accezioni anche oltre;
  • Il tema della sicurezza nella sessualità deve essere valorizzato considerando in primis il benessere, invece del mero evitamento del rischio e del danno. La protezione e la sicurezza non sono dimensioni solo fisiche ma anche psicologiche e relazionali;
  • La sessualità, quando esercitata come libera scelta e senza coercizione, può anche essere lavoro. Tale scelta va accettata e rispettata.

Che cos’è l’educazione sessuale inclusiva per Asterisco?

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L’educazione sessuale che vogliamo:

  1. Utilizza un linguaggio positivo, inclusivo con un approccio non giudicante e attento alla convivenza delle diversità;
  2. Ha come obiettivo primario la diffusione di consapevolezza e benessere sessuale. Secondariamente ha l’obiettivo di promuovere il cambiamento sociale attraverso la divulgazione scientifica, la promozione di una cultura aperta alle diversità e la decostruzione di pregiudizi, falsi miti e standard che rimandano a stereotipi di genere, di orientamento sessuale, affettivo e di relazione. Infine, ha l’obiettivo di affermare e veicolare il messaggio che tutte le esperienze consensuali nella sessualità sono valide e di valore.
  3. È sessuo-affettiva. L’educazione sessuale si occupa non solo della sfera fisica e sessuale, ma anche di emozioni, affettività e relazione con se stessЗ e le altre persone;
  4. È fluida e in costante mutamento. L’educazione sessuale si costruisce e adatta alle caratteristiche dell’interlocutorǝ, del contesto e della cultura in cui agisce;
  5. È intrinsecamente politica. L’educazione sessuale promuove una visione del mondo aperta e progressista, in cui tutte le persone, indipendentemente dalle loro appartenenze, meritano rispetto, ascolto e partecipazione. L’educazione sessuale deve essere accessibile a tuttЗ, a prescindere dal gruppo sociale di appartenenza;
  6. È curiosa e positiva. L’ascolto attivo e curioso delle domande e delle esperienze di chi si rivolge all’educazione sessuale devono guidare la costruzione dell’attività, adattando quest’ultima allo specifico contesto senza seguire protocolli rigidamente standardizzati e approcciando il tema con gioia e positività;
  7. È democratica e costruttivista. L’educatorǝ sessuale, in virtù del proprio sapere e delle proprie competenze, deve essere consapevole di far parte di una relazione asimmetrica con l’utenza. Oltre a ciò deve cercare di ridurre la distanza sociale optando per progettualità co-costruite e per una diffusione orizzontale e democratica del sapere;
  8. È multiprofessionale. È fondamentale che diverse figure collaborino, ciascuna con la propria specifica competenza, alla costruzione dell’educazione sessuale (professionistЗ della salute, attivistЗ, figure di accudimento, istituzioni, sex toys advisors, ecc.).
  9. È itinerante. L’educazione sessuale può essere portata in ambienti differenti (luoghi di lavoro, di cultura, intrattenimento, mass-media, ecc.) e non limitandosi al solo ambiente scolastico o socio-sanitario.
  10. È analogica e digitale. L’educazione sessuale deve essere promossa attraverso modalità di educazione con supporti esperienziali (seminari, workshop, ecc.) e peer education, utilizzando adeguatamente le tecnologie più avanzate e i vari canali di comunicazione;
  11. È attenta alla scienza, con uno sguardo critico ai limiti dell’attuale stato dell’arte in questo campo. Riteniamo fondamentale includere nella ricerca scientifica di settore tutti i gruppi sociali, compresi quelli minoritari, tenendo in forte considerazione anche il benessere delle persone che vi appartengono;
  12. L’educazione sessuale deve essere normata. Abbiamo bisogno che l’educazione sessuale sia accompagnata e sostenuta da una o più leggi che la riconoscano e la tutelino in modo che questa venga considerata un diritto fondamentale di ciascun individuo;

Conoscere se stessЗ e il proprio corpo, esplorare relazioni positive e soddisfacenti con le altre persone accogliendo le differenze, vivere la propria e altrui sessualità con piacere, rispetto e sicurezza, sono tutti elementi su cui è fondamentale investire ed educare.
Per questo Asterisco lavora affinché l’educazione sessuale diventi legge.
Perché fare educazione sessuale significa anche fare cultura e politica. E attraverso la cultura e la politica è possibile cambiare il mondo.

Letture consigliate

Bibliografia

Body neutrality, body positivity e body functionality: di cosa stiamo parlando?

L’aspetto fisico è un concetto particolarmente saliente dal punto di vista sociale, dal momento che è più frequentemente esposto all’attenzione collettiva e a commenti valutativi. La diffusione dei social media ha aumentato l’esposizione a contenuti che esaltano ideali irrealistici di bellezza, fornendo anche innumerevoli occasioni per confrontare il proprio corpo con quello altrui. Questo ha incrementato l’insoddisfazione per molti che fruivano di questi contenuti. 

In tale contesto, in cui i social media continuano a proporre immagini idealizzate di corpi irrealistici che ottengono sempre più popolarità, sono sorti i movimenti di body positivity, body functionality e body neutrality. Negli ultimi anni questi movimenti hanno attirato sempre più attenzione, ricevendo diversi consensi, ma anche molte critiche. Le peculiarità di ognuno di essi, insieme ai limiti e alle potenzialità, sono approfondite nei paragrafi successivi.

La body positivity e l’accettazione incondizionata del proprio corpo

Il movimento della body positivity nasce con lo scopo di mettere in dubbio gli ideali estetici dominanti e di promuovere l’accettazione e il rispetto per tutti i corpi, indipendentemente dalla forma, dal peso e dalle caratteristiche delle parti che lo compongono.

Negli ultimi anni questo movimento ha acquisito sempre più popolarità attraverso i social media e soprattutto su Instagram, piattaforma in cui sono stati registrati più di diciassette milioni di post con il tag #bodypositive e più di nove milioni con il tag #bodypositivity.

Nella maggior parte dei casi, questi post sono accompagnati da foto che ritraggono persone normopeso o sovrappeso, oppure rappresentano caratteristiche che divergono dagli ideali di bellezza standard, come per esempio cellulite, accumuli adiposi nell’addome e smagliature. Il messaggio che questi post vogliono trasmettere è che tutti i corpi meritano di essere rispettati, con il fine di promuovere lo sviluppo di una relazione positiva come il proprio corpo e con sé stess3 in generale.

L’atteggiamento promosso dalla body positivity favorisce l’acquisizione di un’immagine corporea positiva, ovvero di un senso di amore e di rispetto globale per il proprio corpo. L’immagine corporea positiva include anche l’apprezzamento delle caratteristiche uniche del proprio corpo e l’accettazione degli aspetti che non corrispondono alle caratteristiche rappresentate dalle immagini idealizzate dei media. Le ricerche dimostrano che un’immagine corporea positiva è associata a un maggiore benessere psicologico, sociale ed emotivo e a comportamenti che promuovono la salute; inoltre, svolge una funzione protettiva rispetto all’esposizione a immagini che raffigurano ideali irrealistici di magrezza.

Alcun3 studios3 si sono interrogat3 sui possibili effetti collaterali della body positivity, come ad esempio l’intensificazione della focalizzazione sul proprio corpo. Infatti, il rischio è quello di continuare ad alimentare la preoccupazione per il proprio aspetto, il quale viene mantenuto come un elemento di maggior rilievo a discapito di altre qualità. Inoltre, propugnare un movimento come valido e adatto per tutt3 può essere aleatorio. Qualcunə potrebbe risentire della pressione ad “amare incondizionatamente” il proprio corpo e sentirsi in difetto qualora non ci riesca. 

Una nuova e promettente frontiera della body positivity mira ad approfondire gli aspetti che promuovono lo sviluppo di un’immagine corporea positiva e priva di alterazioni. I temi da esplorare riguardano la tendenza ad apprezzare il proprio corpo e a investire su di esso in maniera adattiva e le abilità di filtrare le informazioni provenienti dall’esterno in maniera protettiva, al fine di tutelare la propria immagine corporea.

La body functionality e l’apprezzamento delle funzionalità del corpo

Il movimento della body functionality propone una visione del corpo olistica e attiva, nella quale vengono esaltate le capacità fisiche che permettono al corpo di mettere in atto tutto ciò che esso è in grado di fare. Questo si contrappone a una visione focalizzata sulle qualità estetiche delle varie parti del corpo, con il rischio che venga  percepito come un mero oggetto. 

In passato, l3 ricercator3 concettualizzavano le funzioni corporee come semplici indicatori di bisogni che ne permettevano il soddisfacimento. Gli studi più recenti riprendono il concetto di funzioni corporee e lo integrano con la nozione di abilità del corpo e con il modo in cui esso può interagire con le altre persone. In altre parole, oggi con body functionality si intende tutto quello che il corpo è in grado di fare

Alleva e collegh3 hanno descritto il concetto di funzionalità del corpo come un ampio spettro che comprende le capacità fisiche (es. camminare, andare in bicicletta), la salute e i processi interni (es. respirazione, digestione), i sensi e le sensazioni (es. vedere, sentire le emozioni), le capacità creative (es. scrivere, disegnare), la cura di sé stess3 (es. cucinare, farsi la doccia) e la comunicazione con l3 altr3 (es. parlare, linguaggio del corpo). 

Prestare attenzione alla funzionalità corporea promuove una visione del proprio corpo come un’entità attiva, dinamica e strumentale scoraggiando una visione passiva del corpo come oggetto puramente estetico. La focalizzazione sulle funzioni del proprio corpo è stata associata con una maggiore soddisfazione per il proprio aspetto, un miglioramento della propria immagine corporea, una minore tendenza all’auto-oggettivazione e una riduzione della preoccupazione per il proprio peso corporeo. È possibile incrementare la tendenza a focalizzarsi sulle funzionalità del proprio corpo attraverso un allenamento cosciente e costante, oppure svolgendo esercizio fisico o yoga.

Tuttavia, esaltare le varie capacità del corpo rischia di limitare la prospettiva ai corpi “abili” e “senza malattie”. L3 sostenitor3 della body functionality affermano che in realtà questo è un costrutto inclusivo e adatto a tutt3, poiché la presenza di malattie, infortuni, differenze strutturali e/o invecchiamento non implica la compromissione di tutte le altre funzioni del corpo. In sostanza, differente non vuol dire mancante e utilizzare queste lente permette di leggere il concetto di body functionality in un’ottica maggiormente inclusiva.

La body neutrality e la decentralizzazione del corpo

A partire dalle critiche mosse ai movimenti di body positivity e body functionality è sorto il concetto di body neutrality, il quale propone un approccio inclusivo che mira a ridurre il focus sul proprio corpo, indipendentemente dal fatto che esso sia positivo o negativo. La body neutrality si pone inoltre in una posizione intermedia fra i messaggi contrastanti che arrivano dai social media, i quali promuovono l’amore puro o l’odio totale per il proprio corpo.

L’obiettivo di questo movimento è decentrare il ruolo che la bellezza ricopre nella società, incoraggiando gli individui a porre meno enfasi sul proprio aspetto fisico. Esempi di messaggi promulgati dalla body neutrality sono «come ti senti è più importante di come appari», «tu sei più di un corpo» e anche «il tuo corpo non esiste per essere piacevole agli occhi dell3 altr3». Il concetto centrale di questo approccio è che porre meno attenzione al proprio aspetto fisico promuova il benessere e permetta di incanalare tutta l’energia normalmente spesa a monitorare e modificare il proprio corpo verso altri aspetti più importanti della propria vita

Allo stato attuale la body positivity pone l’accento sul proprio corpo, mentre l’obiettivo della body neutrality è spostare l’attenzione e il giudizio del proprio valore su caratteristiche e qualità che si discostano da esso. La speranza di questo movimento è quella di acquisire una visione condivisa in cui l’aspetto è considerato come una delle tante qualità degli individui al pari delle altre, come per esempio l’ambizione o la generosità.

Il movimento della body neutrality è ancora poco studiato empiricamente, ma sono stati ipotizzati degli effetti sulla riduzione dell’ansia e sul miglioramento dell’umore. Infatti, evitare i pensieri e i comportamenti di critica verso il proprio corpo permetterebbe di eludere l’ansia, i sentimenti di perdita di controllo e di speranza e la tristezza che ne derivano. Inoltre, distogliere l’attenzione dal proprio aspetto fisico potrebbe ridurre l’insoddisfazione per il proprio corpo, il ricorso a diete rigide e dannose per la salute e i tassi di incidenza dei disturbi del comportamento alimentare. Sono però necessarie ricerche future per corroborare queste ipotesi inferenziali.

Questa prospettiva è allettante e promettente, ma è anche particolarmente difficile da adottare in una società che attribuisce così tanta importanza all’estetica e in cui molte conversazioni quotidiane riconducono al proprio aspetto fisico o a quello altrui.

Tuttavia, gli esseri umani hanno la capacità di prestare attenzione ai propri pensieri e di modificarli. È possibile farlo anche per quanto riguarda i pensieri sul proprio corpo. Per cui, quando arriva un pensiero, positivo o negativo che sia, sul proprio aspetto fisico è possibile identificarlo e lasciarlo andare – e quindi non prestarvi attenzione – in modo da mantenere un atteggiamento neutro. Questo processo, soprattutto all’inizio, potrebbe essere faticoso e meccanico, ma con un allenamento costante è possibile adottare una differente visione del proprio corpo atta a promuovere il benessere personale e sociale.

Bibliografia:

  • Alleva JM, Tylka TL. Body functionality: A review of the literature. Body Image. 2021 Mar; 36:149 171.
  • Cohen, R., Newton-John, T., & Slater, A. (2021). The case for body positivity on social media: Perspectives on current advances and future directions. Journal of health psychology26(13), 2365–2373. https://doi.org/10.1177/1359105320912450
  • Grabe S, Ward L and Hyde JS (2008) The role of the media in body image concerns among women: A meta-analysis of experimental and corre- lational studies. Psychological Bulletin 134: 460–476.
  • Legault, L., & Sago, A. (2022). When body positivity falls flat: Divergent effects of body acceptance messages that support vs. undermine basic psychological needs. Body Image, 41, 225-238. https://doi.org/10.1016/j.bodyim.2022.02.013
  • Oltuski R (2017) Please stop telling me to love my body: Embracing body neutrality. Man Repeller, 3 October.  
  • Swami V, Weis L, Barron D, et al. (2018) Positive body image is positively associated with hedonic (emotional) and eudaimonic (psychological and social) well-being in British adults. Journal of Social Psychology 158: 541–552. https://doi.org/10.1080/00224545.2017.1392278
  • Stevens, A., & Griffiths, S. (2020). Body Positivity (# BoPo) in everyday life: An ecological momentary assessment study showing potential benefits to individuals’ body image and emotional wellbeing. Body Image, 35, 181-191. https://doi.org/10.1016/j.bodyim.2020.09.003
  • Van den Berg, P., Paxton, S. J., Keery, H., Wall, M., Guo, J., & Neumark-Sztainer, D. (2007). Body dissatisfaction and body comparison with media images in males and females. Body image, 4(3), 257-268. https://doi.org/10.1016/j.bodyim.2007.04.003

Per approfondimenti: 

Le foto dell’articolo e in copertina sono di Dmitry Nikulnikov