Asterisco supporta il Pride di Cremona e il suo impegno a favore del cambiamento sociale

Sabato 4 giugno si è tenuto il Cremona Pride, manifestazione che vede la partecipazione dellЗ cittadinЗ che sentono vicino e impellente il bisogno di ricevere diritti e tutele in quanto appartenenti alla comunità LGBTQIA+. La comunità LGBTQIA+ è ancora oggi, soprattutto nel contesto socio-culturale italiano, un gruppo minoritario la cui esistenza è considerata spesso illegittima. Numerosi articoli scientifici hanno dimostrato come le persone appartenenti a questa comunità abbiano un minor accesso alle risorse riguardanti la salute psicofisica e un maggior tasso di suicidi.

Ogni anno migliaia di persone manifestano con calore e colore con l’obiettivo di far sentire la propria voce, urlare la propria esistenza per farsi riconoscere dalle istituzioni e dalla classe politica che spesso, purtroppo, non fa altro che alimentare il pregiudizio, delegittimando ogni forma di uguaglianza sociale. Questo è solo un piccolo riassunto non esaustivo della complessità delle istanze che si riuniscono ogni anno, in quasi ogni città d’Italia.

Se queste sono le premesse, viene da chiedersi cosa abbia visto l’autorə dell’articolo in prima pagina pubblicato oggi 6 giugno 2022 da “La Provincia”, quotidiano di Crema – in completo anonimato – e gli illuminatissimi illustri opinionisti citati.

Il Cremona Pride non è stato nulla di quello che è stato raccontato in quell’articolo che di blasfemo aveva, forse, la scelta editoriale.

Cominciamo con una questione importante: considerare il Pride come “una festa colorata” è una forma di delegittimazione che cancella completamente le motivazioni sottostanti la scesa per le strade dellз cittadinз. Basare l’intera consistenza dell’articolo su un totale di 434 commenti indignati sui social fa quantomeno sorridere, considerato che la provincia di Cremona, stando alle rilevazioni Istat, ci sono più di 350000 abitanti. Salvini ha definito il Pride di Cremona come «un’esibizione di ignoranza e arroganza». Lo stesso commento potrebbe essere traslato a quei commenti che rappresentano lo 0,1% dellЗ cittadinЗ.

L’intento molto probabilmente era quello di dare un framing negativo – ovvero una cornice narrativa che influenza la lettura morale degli avvenimenti – con l’intento di giustificare le opinioni di tre persone: un imprenditore, un politico e un religioso.

Questa è una triade molto comune nelle narrazioni conservatrici in cui si dà molto più risalto a opinioni di persone che appartengono a gruppi sociali avvantaggiati, che hanno anche un eccessivo accesso a risorse economiche, di cura e di scolarizzazione a scapito di altre, il cui obiettivo è quello di mantenere lo status quo immutato. D’altronde cosa possono saperne loro di cambiamento sociale?

In aggiunta, il taglio dell’articolo richiama molto spesso il disgusto morale. Viene dato risalto a una raffigurazione “blasfema” di una madonna a seno nudo. AltrЗ potrebbero vedere la rappresentazione di una donna consapevole del proprio corpo e del modo in cui vuole vivere e mostrare le proprie identità, anche sessuali. Chi si occupa di discriminazione e pregiudizio non avrebbe dubbio nell’etichettare una madonna a seno nudo come una visione sessista del corpo femminile. Focalizzarsi solo sul seno – i cui i capezzoli sono stati anche censurati – e non su altro è una visione piuttosto oggettivante del corpo femminile. A questo si aggiunge la visione di sacralità che ogni donna dovrebbe fare propria: una visione che le rende persone dalla moralità incrollabile e, al contempo, schiave di norme sociali stigmatizzanti. Una visione quanto meno antiquata per una classe dirigenziale e politica che cerca rappresentanza e consensi nel 2022.

Non fa certo stupore che Matteo Salvini sia intervenuto su un non-caso del genere. Questo la dice lunga sulla sua agenda politica. Come possono stupire interventi di questo tipo dopo l’utilizzo strumentale quotidiano che Salvini fa su social e media generalisti dei gruppi minoritari svantaggiati?

Il fatto che vengano raccontate alcune cose a scapito di altre la dice lunga sul framing negativo utilizzato nell’articolo. Nessuna citazione, casualmente, della presenza di famiglie, mamme con bambinЗ – anche molto piccoli nelle carrozzine – papà amorevoli, coppie che si tenevano per mano, giovani e non che cantavano a squarciagola la necessità vitale di essere riconosciuti e tutelati. Completamente cancellati i discorsi degllЗ organizzatorЗ del Pride, delle organizzazioni promotrici e dell’intervento di Adrian Fartade, unə dellЗ più famosЗ e apprezzatЗ divulgatorЗ scientificЗ. Fartade ha raccontato alla platea di come recentemente è statə vittima di violenza da un gruppo di persone che non tolleravano la sua immagine e la sua identità. Negare l’esistenza di questo discorso, che ha commosso l’intera piazza Stradivari, significa cancellare il dolore e le molestie che le persone appartenenti alla comunità LGBTQIA+ subiscono ogni giorno, arrivando a rischiare la propria vita semplicemente perché non vogliono nascondere la propria esistenza, rivendicando lo stesso diritto di esistere dell’imprenditore, del politico e del religioso.

La presenza di bambinЗ e la violenza nei confronti delle persone LGBTQIA+ – ma vale anche per qualsiasi altro gruppo minoritario, si pensi alle persone migranti – vengono spesso cancellate dalla narrazione della destra conservatrice. Il motivo è presto detto: la narrazione conservatrice di destra vuole evitare a tutti i costi che si empatizzi e si provino emozioni compassionevoli nei confronti di persone appartenenti a gruppi sociali svantaggiati. Il rischio matematico è che si possa provare vicinanza per queste persone e che ci si unisca alle loro battaglie legittime. E questo il conservatorismo religioso e politico non può permetterselo.

Chi ha descritto il Pride di Cremona come qualcosa di blasfemo ha utilizzato il proprio sistema di valori – del tutto soggettivo e discutibilmente condivisibile – per interpretare una legittima partecipazione politica in cui lз cittadinз hanno scelto di manifestare la necessità di un cambiamento sociale importante. Un cambiamento sociale che non viene innescato nemmeno dalla controparte politica “progressista” che ancora oggi a livello locale e nazionale si vergogna a far proprie le istanze di queste persone.

Stefano Daniele Urso,
psicologo sociale, presidente dell’associazione Asterisco.

Foto di copertina di Mercedes Mehling on Unsplash

Perché scriviamo inclusivo.

Quello che segue è un tentativo di spiegazione sul perché sia necessario l’uso di un linguaggio inclusivo e sul perché noi – professionistз della salute mentale, divulgatorз, formatorз e articolistз – riteniamo sia doveroso applicarlo alla nostra attività – dal singolo articolo al colloquio psicologico.

L’intento è quello di dare delle risposte a domande che riteniamo possano emergere sia per critica sia per semplice curiosità, nella speranza che il contenuto possa anticipare o rispondere a questi legittimi bisogni.

·        Perché abbiamo scelto un linguaggio inclusivo?

Asterisco è nata con il desiderio di creare un ponte tra la ricerca scientifica nel campo delle diseguaglianze e dell’inclusività e la vita di tutti i giorni. Qualsiasi intervento Asterisco metta in atto ha una portata sociale. Il nostro focus è quello di creare un terreno condiviso in cui nessunə debba sentirsi esclusə, dalla formazione nelle scuole alle dirette su Instagram. Anche la lettura può essere un veicolo di esclusione. Ecco perché abbiamo deciso di rendere tutte le informazioni che veicoliamo (sia scritte sia parlate) il più accessibili possibile. Per questo abbiamo scelto di scrivere i nostri articoli rinunciando alla grammatica di genere.

·        Cos’è la grammatica di genere?

La grammatica di genere consiste nell’utilizzo, all’interno di una lingua, di nomi e declinazioni che hanno un’assegnazione di genere maschile o femminile. Con “assegnazione di genere” intendiamo tutte quelle forme grammaticali (come aggettivi, pronomi, articoli determinativi e indeterminativi) che riflettono il genere di un individuo in questione. È una grammatica tipica delle lingue latine come quella italiana. Numerosi studi nel corso degli anni hanno dimostrato come nei paesi in cui la lingua è particolarmente genderizzata sia minore l’uguaglianza di genere. Questo perché il modo in cui esprimiamo la nostra lingua riflette il modo in cui pensiamo e vediamo il mondo.

·        In italiano abbiamo il maschile plurale che vale per tutti i generi. Perché non vi accontentate di quello?

La nostra è una scelta che parte dalla consapevolezza che ogni nostra produzione (dall’articolo al colloquio psicologico) ha un impatto sociale. Questo impatto sociale per noi implica una grande responsabilità che accogliamo a pieno come professionistз.

Il maschile plurale non è sufficiente affinché l’effetto della grammatica di genere scompaia. Anzi, potremmo dire l’esatto contrario.

·        Cos’è il linguaggio genderless?

Il linguaggio genderless potremmo tradurlo come linguaggio senza-genere, ovvero che non ha riferimenti al genere degli individui a cui sono riferiti nomi, aggettivi e altre declinazioni. Chiaramente è un problema applicarla alla lingua italiana ed è il motivo per cui la ricerca in questo campo è molto attiva. Noi vogliamo essere parte di questa ricerca e abbiamo scelto di sperimentare l’utilizzo della schwa (sostituendo le declinazioni maschili e femminili con “ə” al singolare e “з” al plurale) .

·        Perché abbiamo scelto proprio la schwa?

La scelta su quale soluzione adottare non è stata semplice. Inizialmente avevamo adottato l’asterisco (da qui deriva anche il nome della nostra associazione), ma in tempi recenti abbiamo optato per questa nuova alternativa. Siamo consapevolз dei limiti di questa scelta, ma siamo estremamente ricettivз al cambiamento in questo campo. Qualora si presentasse una soluzione migliore della schwa la adotteremo ponderandone i pro e i contro.

·        Come devo leggere la schwa negli articoli?

La lettura è libera ed è uno dei grandi vantaggi della grammatica genderless. Chiunque può leggere le declinazioni con la schwa come vuole. A differenza del parlato, la lettura – che sia a mente o ad alta voce – permette una certa libertà di interpretazione. Nulla toglie che chi legge possa decidere di usare la declinazione maschile plurale. Il nostro consiglio è di approfittare della lettura dei nostri articoli per familiarizzare con la sonorità della schwa, che attualmente è percepita ancora come una nota stonata nella melodia che è la nostra lingua. Noi siamo convintз che sia solo l’effetto di un’abitudine che ancora non abbiamo fatto nostra.

·        Chi siete voi per cambiare la lingua italiana?

Può sembrare una frase fatta, ma la lingua italiana si è modificata nel corso dei secoli. L’italiano che parliamo oggi è ben diverso da quello parlato durante l’Impero Romano o quello dopo l’introduzione del volgare dantesco. Dante, così come tantз altrз autorз della letteratura hanno cambiato la lingua – attraverso nuove sonorità, neologismi o addirittura nuove regole grammaticali – in funzione di un bisogno espressivo. Noi non vogliamo assolutamente sostituire o paragonarci allз grandз autorз che hanno definito e plasmato l’identità del nostro amato Paese, ma vogliamo prenderci la briga di esprimere il nostro bisogno di inclusione, dove nessunə è esclusə, a cominciare dal modo in cui veicoliamo questa inclusione.

·        Ma chi se ne frega! Siamo tuttз uguali!

Se fossimo veramente tuttз uguali avremmo tuttз lo stesso accesso alle risorse sanitarie e scolastiche. Nessunə direbbe mai che quest’anno non può permettersi di andare in vacanza. Nessunə soffrirebbe d’ansia o di depressione. Tuttз vedremmo il nostro corpo in maniera accettabile. Nessunə avrebbe delle preferenze di acquisto. Tuttз voteremmo lo stesso partito.

Non siamo tuttз uguali. Ci sono persone che hanno dei redditi superiori ad altre. Ci sono persone che hanno opportunità di lavoro migliori di altre. Ci sono persone che hanno la possibilità di guarire in maniera più efficace ed efficiente di altre. Ci sono persone che appartengono a uno o più gruppi sociali che sono più fortunati/avvantaggiati di altri. Chi fa parte di gruppi socialmente svantaggiati – i cosiddetti gruppi minoritari – deve subire ogni giorno il peso della propria appartenenza, soprattutto se quest’ultima non è modificabile. L’appartenenza a gruppi svantaggiati ha il potere di diventare un marchio indelebile sulle persone che non si vedono riconosciute o che vengono discriminate – apertamente o meno.

Il linguaggio genderizzato ha il potere di incrementare la forza di quel marchio indelebile. Un linguaggio genderizzato costituisce un debito da cui è difficile uscire, così come la persona che ha un reddito basso difficilmente riesce a uscire da un circolo in cui è costretta a chiedere dei prestiti per sopravvivere. Noi vogliamo limitare il più possibile questo debito sociale. Vogliamo rendere più leggero il peso dell’appartenenza e vogliamo che davvero tuttз possano usare uguale energia mentale per usufruire dei nostri contenuti.

Noi non vogliamo renderci responsabilз nell’alimentare queste differenze. Siamo consapevolз della fatica di chi appartiene a questi gruppi. Moltз dellз socз e dellз articolistз di Asterisco appartengono a uno o più di questi gruppi. Il minimo che possiamo fare è intervenire affinché tutto questo possa essere circoscritto il più possibile, al limite delle nostre capacità.

·        La schwa non è valida perché non include le persone dislessiche o disgrafiche e non vedenti o ipovedenti.

Utilizzare la schwa ha necessariamente dei limiti. Le persone dislessiche e disgrafiche – cioè che hanno difficoltà nella lettura e scrittura e quindi nel riconoscimento specifico di alcune lettere – si troverebbero in difficoltà nel distinguere “ə” da una “e” o “з” da un tre. Le stesse difficoltà però vengono riscontrate nella distinzione tra “p” e “q” o tra “b” e “d”. Ciò non è mai stato sufficiente per determinare l’eliminazione di queste consonanti dall’alfabeto italiano.

Anche le persone ipovedenti o non vedenti potrebbero trovare delle difficoltà nell’uso di strumenti di lettura automatica. È un limite che riguarda primariamente l’aspetto tecnologico. Per questo speriamo che la ricerca nel campo della lettura automatica possa presto trasformare questo attuale limite in una risorsa futura.

·        Questa scelta linguistica non rischia di diventare una barriera per qualcunə?

L’utilizzo della schwa o di qualsiasi altra soluzione inclusiva ha il rischio di non essere conosciuta o condivisa da tuttз con la possibilità di apparire altezzoso o classista. La nostra è una scelta ponderata sulla consapevolezza che alcunз possano essere allontanatз a priori dalla fruizione dei nostri articoli. La speranza di Asterisco è di riuscire a raggiungere tuttз utilizzando canali diversi e trovando – di volta in volta – il modo più inclusivo possibile per dialogare con le persone avvicinandole, dove possibile, all’importanza di un linguaggio attento all’impatto e al peso che questi hanno sull’appartenenza a gruppi minoritari.

Bibliografia:

  • Jost, J. T., & Banaji, M. R. (1994). The role of stereotyping in system‐justification and the production of false consciousness. British journal of social psychology, 33(1), 1-27.
  • Prewitt-Freilino, J. L., Caswell, T. A., & Laakso, E. K. (2012). The gendering of language: A comparison of gender equality in countries with gendered, natural gender, and genderless languages. Sex roles, 66(3), 268-281.
  • Rudman, L. A., & Phelan, J. E. (2010). The effect of priming gender roles on women’s implicit gender beliefs and career aspirations. Social psychology.
  • Mullainathan, S., & Shafir, E. (2014). Scarcity: The true cost of not having enough. Penguin books.

Per approfondimenti:

Buona la prima! Come giudichiamo gli altri dalle prime impressioni

Molto spesso capita di sentire opinioni di persone che affermano che il fisico non è la prima cosa che si nota o che si tiene in considerazione nella scelta del partner. Tralasciando il fatto che la scelta del partner possa essere più o meno ragionata con ipotesi più o meno oggettive, davvero non importa l’aspetto fisico? Facciamo un passo indietro. Prima di considerare se la persona che abbiamo di fronte sia un possibile candidato per essere il nostro partner, è bene incontrarla o, ancora prima, vederla. A prescindere che ci sia anche solo un’interazione verbale, prima di tutto quella persona è per noi uno stimolo visivo ricco di informazioni. Queste informazioni sono molto preziose e ci permettono a priori di farci delle impressioni, o meglio, di formulare giudizi. In altre parole: pregiudizi. Questi pregiudizi, che possono avere una valenza sia positiva che negativa, sono il frutto dell’evoluzione dell’essere umano. Per tutta la durata della lettura teniamo presente che stiamo parlando di un processo che avviene prima dell’incontro effettivo con il prossimo. Per esempio abbiamo costantemente pregiudizi anche quando si fa shopping o si va a correre. È un processo imprescindibile della natura umana.

giudizio

Facciamo un esempio. Immaginiamodi di essere un fan accanito di un partiolare cantante e di vedere in lontananza un individuo che indossa una maglietta con la faccia della star. A prescindere da quanti metri vi separano, dal momento in cui il nostro nervo ottico ha captato quell’immagine, il nostro cervello ha già giudicato quella persona in maniera positiva. Immaginiamo ora – con immenso sforzo – di essere un italiano medio e che la parte occipitale del nostro cervello – area deputata all’elaborazione visiva – abbia elaborato l’immagine di un individuo dalla pelle nera. In tempo zero avremo già generato giudizi sulla sua natura di etnia inferiore, che ci viene a togliere il lavoro, ecc… Quindi perché è importante l’informazione visiva sull’aspetto delle persone? Perché ci permette di estrapolare informazioni e, di conseguenza, generare impressioni.

Cosa sono le impressioni?

L’impressione o, più correttamente, la formazione di impressioni, è un processo attraverso il quale gli individui si creano un’immagine di altri individui singoli o in gruppi. Queste impressioni consistono in una serie di aggettivi positivi e negativi che, insieme, concorrono a una valutazione unitaria. Riprendiamo l’esempio dell’italiano medio: appena vedremo l’individuo dalla pelle nera, immediatamente faremo associazioni con aggettivi come “sporco”, “ignorante”, “ladro”, “puzzolente”, ecc… Tutti questi aggettivi sono stati richiamati dalla sola informazione visiva, ecco perché è un pre-giudizio.

Quella che è stata descritta è definita in letteratura come “teoria implicita di personalità”. Questa è uno schema – un pattern standard di elaborazione di informazioni – che permette di estrapolare una serie di aggettivi dopo averne captato anche uno solo. Immaginiamo di assistere a un’entusiasmante rimpatriata tra vecchi compagni di liceo. Tra il vociare, e le battute di basso spirito, scrutiamo in un angolo una persona che non parla con nessuno. All’istante il vostro cervello assocerà quell’immagine a un aggettivo, come “timido”. Automaticamente, da quell’aggettivo, ne estrapoliamo di altri, come un fazzoletto dal cilindro: “solitario”, “antipatico”, “asociale”, “single”, “sfigato”. In una frazione di secondo abbiamo visto una persona apparentemente timida ed elaborato la sua intera personalità seduti comodamente dal nostro tavolo.

discriminazione

Ma perché ci basiamo sulle prime impressioni se sono false?

Le prime impressioni sono statisticamente false perché si appoggiano a schemi mentali precostituiti. In altre parole estrapoliamo aggettivi in base a prototipi di individui creati dall’esperienza di vita e dalla cultura in cui siamo immersi. In una parola: stereotipi. Ecco perché le personalità implicite che elaboriamo contengono tutti aggettivi solo positivi o solo negativi. Un solo aggettivo, per esempio “timido” porta con sé una serie di aggettivi coerenti con il prototipo che noi abbiamo della persona timida ed ecco perché se vediamo una persona con la pelle nera si attivano tutti quegli aggettivi negativi. È una coerenza determinata anche dalla cultura, infatti esistono altri prototipi di personalità che in occidente non esistono. Per esempio in Cina c’è la personalità “Shi Gù”: un individuo con senso pratico, che ha il culto della famiglia, ben inserito nella società e riservato. Questi ultimi due aggettivi in occidente non hanno alcuna correlazione e risulta anche difficile immaginarsi un prototipo avente quelle due caratteristiche contemporaneamente.

Un altro motivo per cui ci basiamo sulle impressioni è che queste sono il frutto dell’evoluzione umana. La formazione di impressioni ha, infatti, due caratteristiche che la rendono un processo fondamentale per la sopravvivenza. È un processo rapido e inconsapevole che prevede un bassissimo costo energetico; solo attraverso una ricerca approfondita di informazioni – molto costosa in termini di energia e motivazione personale – è infatti possibile farsi un’idea più complessa delle persone. Riprendendo l’esempio del ristorante, per farsi un’immagine più veritiera del personaggio timido avremmo dovuto avere molta motivazione a conoscerlo ed essere disposti a focalizzare le nostre energie su di lui. Questo processo è inoltre fondamentale per pianificare il comportamento potenziale: se incontro una persona apparentemente spaventosa, avendo estrapolato una sua personalità, sarò pronto ad evitarlo, mentre se al ristorante vedo un tizio timido potrò ignorarlo perché potenzialmente non minaccioso.

Pensate ancora che tutto questo non abbia a che fare con la scelta del partner? Pensate davvero che l’essere umano si sia evoluto fidandosi delle persone brutte? È possibile ipotizzare che nella preistoria ci si mantenesse lontani da persone con un brutto aspetto perché potenzialmente minacciose. Tutto questo si ripercuote nella cultura, come ad esempio nelle storie raccontate ai bambini, con le più classiche favole che hanno come “cattivi” anche persone “brutte”.

Tutto ciò non vi convince? Per fortuna la scienza ci dà una mano.

Alexander Todorov, ricercatore dell’università di Princeton, ha scoperto come basti anche solo riprodurre determinate caratteristiche facciali su modelli 3D per far percepire questi modelli come più o meno affidabili o dominanti. In pillole, Todorov ha ricostruito alcuni pattern facciali in base ad alcune caratteristiche come la grandezza della bocca, la larghezza del naso, l’inclinazione delle sopracciglia e l’ampiezza degli occhi. La sua ricerca ha dimostrato come bastino le informazioni facciali per inferire istantaneamente – in un decimo di secondoil tratto associato. I volti ricostruiti, infatti, sono stati valutati dai partecipanti ai suoi esperimenti in termini di alta/bassa affidabilità e alta/bassa dominanza sociale.

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Fonte dell’immagine qui.

Quindi, secondo questa ricerca, esistono prototipi di visi positivi e negativi a cui più facilmente si attribuisce, per esempio, fiducia, e di conseguenza tutti gli attributi positivi che il prototipo di persona fiduciosa si porta dietro. Ecco perché ci facciamo fregare dalle apparenze. Fa parte della nostra natura, ed è un piccolo prezzo da pagare che ci portiamo dietro dalla preistoria.

Dott. Stefano Daniele Urso

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Confirmation bias: ecco perché ho sempre ragione io!

Articolo originariamente pubblicato su theWise Magazine

Risulta ben noto come l’aspetto fisico fornisca un gran numero di informazioni utili nel formare giudizi sul prossimo, ma non è tutto così rose e fiori: il processo implicato nella formazione di impressioni è lungo e irto di bias (distorsioni). Un bias fra tutti è il conservatorismo (o bias di conferma),ovvero la tendenza ad andare a caccia di prove che confermino la nostra ipotesi di partenza arrivando perfino a ignorare la presenza di informazioni discordanti.

Ogni essere umano affronta la realtà sociale in cui è immerso con delle ipotesi, o aspettative. Questo permette a tutti noi di controllare l’ambiente che ci circonda, per esempio, aspettandoci come un altro essere umano potrebbe comportarsi in determinate circostanze. In questo modo possiamo pianificare il nostro comportamento e, tecnicamente, salvare la pelle. Queste ipotesi devono però affrontare la realtà oggettiva, quella densa di informazioni falsificanti: le ipotesi di partenza che abbiamo sono infatti stereotipi preconfezionati e falsi. Immaginatevi un prototipo di immigrato: questo sarà “sporco”, “violento”, “ignorante” e “pigro”. Questa ipotesi è statisticamente falsa, perché stiamo trattando un’impressione fornita da un esemplare come l’esemplare per eccellenza della categoria, e perciò basta un solo esemplare che non fornisca quelle informazioni per far cadere tutto il castello di impressioni. Questo, però, funzionerebbe se gli esseri umani fossero dotati di un pensiero logico razionale. Cosa succederebbe dunque se assistessimo a un immigrato che aiuta una vecchietta ad attraversare la strada?

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Succede che abbiamo sempre ragione noi

Ed è qui che entra in campo il bias di conferma. Nel nostro esempio vedremmo sì un immigrato che aiuta una vecchietta ma, nonostante sia un’informazione disconfermante, avremmo l’impressione che l’immigrato in questione voglia rubarle la pensione, e magari seguirla fino a casa per occupargliela. In alternativa possiamo consideralo come unico nel suo genere: l’unico immigrato buono e generoso che si distingue dagli altri cattivi e puzzolenti. Quest’ultimo processo è definito subtyping (o creazione del sottotipo): un tipo particolare di categorizzazione che considera l’esemplare come facente parte della categoria superiore (gli immigrati) ma a sé stante, in quanto “eccezione alla regola”. Un esempio pratico sono le vecchiette che si lamentano degli stranieri perché “son tutti ladri”, fatta eccezione per il filippino che lava loro la biancheria. In questo modo la nostra idea iniziale non solo è ben protetta, ma anche rinforzata. L’ipotesi rinforzata sarà a quel punto maggiormente disponibile in memoria e ancora più resistente al cambiamento.

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Credit: happyjar.com

Ipotesi, maledette ipotesi

Come abbiamo visto, le ipotesi di partenza “guidano” il modo in cui si cercano le informazioni e come queste vengono utilizzate. Nel dettaglio, il bias di conferma interviene a due livelli: sulla ricerca di informazioni, influenzando la quantità e il tipo di informazioni che si ricercano prima di giudicare, e sull’elaborazione di informazioni, influenzandone l’interpretazione e il ricordo. La cosa affascinante è che il bias è attivo sempre e comunque, contemporaneamente su entrambi i livelli. Ha effetto, insomma, anche quando ci si attiva personalmente nella ricerca di informazioni. Per esempio, tendiamo a porre maggiormente domande volte a verificare la veridicità della nostra ipotesi (bias della domanda), oppure a sovrastimare o sottostimare l’importanza di informazioni ricevute a seconda che siano coerenti o in contraddizione con la nostra ipotesi (bias della risposta).

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Vi sembra ancora una cosa aliena e distante dalla vostra realtà “oggettiva”?

Ancora un volta la ricerca psicologica ci da una mano

In un studio classico del 1980, Lord, Ross e Lepper dell’università di Stanford hanno selezionato un campione di studenti favorevoli o contrari alla pena di morte. A questi veniva presentato un articolo scientifico fittizio contenente (nella condizione 1) evidenze empiriche sull’efficacia della pena di morte o (nella condizione 2) evidenze sulla sua inefficacia. Successivamente veniva chiesto loro di giudicare gli articoli sulla bontà dello studio, quanto i dati dello studio fossero convincenti, quale potesse essere il potere deterrente della morte e, infine, quale fosse l’atteggiamento del partecipante nei confronti della pena di morte.

I risultati mostrarono che gli articoli valutati più positivamente (e quindi ritenuti più convincenti) erano quelli in linea con l’atteggiamento di partenza. In altre parole, chi era a favore della pena di morte valutava positivamente l’articolo che portava evidenze sull’efficacia della pena di morte e viceversa; chi invece leggeva un articolo in contrasto con il proprio atteggiamento riportava errori nella composizione dell’articolo o nella sua struttura. Questo esperimento dimostra come, innanzitutto, quello descritto sia un processo naturale, e, in secondo luogo, mette in evidenza la potenza del bias. Infatti non sono le ipotesi di partenza (atteggiamento verso la pena di morte) che vengono ristrutturate in funzione di elementi falsificanti (le evidenze empiriche), ma ciò che avviene è, in realtà, l’esatto opposto. Quando i partecipanti leggevano un articolo incoerente proteggevano la loro ipotesi screditando la fonte, e questo è qualcosa che sembra altamente controintuitivo: non è il dato che cambia l’ipotesi, ma è l’ipotesi che cambia il dato.

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A questo punto sorge spontanea un’altra domanda.

Ma perché succede?

Principalmente per due motivi: il primo è che non abbiamo il controllo sul processo, il secondo è che c’è un problema di sequenzialità. Per quanto riguarda il primo punto, non ricordiamo quando è stata creata la prima impressione perché semplicemente non siamo coscienti del processo, finendo per ricordarci solo del risultato di questo processo (l’ipotesi o impressione di partenza) ma non di come esso è stato creato; ci si “aggrappa” quindi solo all’ipotesi perché è l’unica che conosciamo. Per quanto riguarda il secondo punto, bisogna tenere in considerazione che, tra tutte le informazioni che riceviamo nel tempo, le prime sono quelle che si ritengono più importanti e diagnostiche. Il problema è che, razionalmente parlando, le informazioni che vengono acquisite per prime non sono necessariamente quelle più corrette e quelle acquisite successivamente dovranno per forza di cose essere confrontate con quelle già immagazzinate in precedenza.

Che lo si voglia o meno, quindi, abbiamo sempre ragione noi. Siamo disposti ad avere ragione anche a costo di ignorare informazioni falsificanti o addirittura di inventarcele di sana pianta. Gli esempi nella vita di tutti i giorni sono infiniti, ma c’è un ambiente particolare dove tutte queste ipotesi vengono confezionate e distribuite, rese facilmente digeribili e distribuibili su grande scala.

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La fucina di ipotesi: il ruolo dei media

È proprio attraverso i media che le ipotesi si sviluppano e si espandono a macchia d’olio, sotto forma di stereotipi che vengono veicolati alla velocità della luce e fatti passare come verità assolute. Abbiamo talk show dove ognuno deve necessariamente dire la sua, in cui si chiede l’opinione a esperti che esperti non sono e al popolo che vive di rimedi della nonna. La moda di far sentire cosa pensa “la gente” porta alla conseguente espansione dei preconcetti di cui abbiamo parlato. Pensate alla facilità con cui anche il giornalismo può, consapevolmente o meno, contribuire a tutto ciò: con il bias della domanda e con quello della risposta possiamo fondamentalmente ascoltare e capire solo quello che vogliamo, quello che ci fa più comodo. Ogni giorno vengono sparate sentenze gratuite contro gli immigrati, insulti ai partiti politici della fazione opposta, notizie su false dichiarazioni, bufale e chi più ne ha più ne metta. Si può quasi pensare che, maggiore il potere di espressione che viene fornito dal mezzo, maggiore sia il grado di diffusione di stereotipi che ne consegue.

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Credit: chainsawsuit.com

Il punto però è un altro: i media forniscono sempre più opinioni e sempre meno fatti incontrovertibili e falsificanti, come ricerche e spiegazioni scientifiche degli avvenimenti. Così facendo le opinioni, molto semplici e molto spesso già indirizzate (come diceva Gaber, alla «grande confusione deviante»), vengono considerate come verità assolute, rinforzate, maggiormente ricordate e utilizzate per giudicare informazioni successive, ed ecco che abbiamo malattie terminali che si possono guarire con il bicarbonato, rettiliani al governo e, paradossalmente, una psicologia che non è più una scienza.

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Oroscopo: una stima statistica che non ci ha creduto abbastanza

Articolo originariamente pubblicato su theWise Magazine

L’oroscopo, nel senso pseudoscientifico del termine, è una «predizione che viene formulata sull’assunto che la posizione dei pianeti e dello zodiaco al momento di un evento influenzi il destino o il futuro delle persone. Viene chiamata oroscopo anche la pubblicazione di predizioni generiche sul destino individuale delle persone, classificate secondo il segno zodiacale di nascita; queste predizioni si basano sull’influenza che il passaggio dei pianeti potrebbe avere, nel periodo di tempo considerato dall’oroscopo, sulle persone nate in un determinato segno zodiacale».

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Benessere sessuale: cosa non sai su contraccezione e MST

Articolo originariamente pubblicato su theWise Magazine

Ogni ottobre la FISS, Federazione Italiana di Sessuologia Scientifica, promuove l’iniziativa della Settimana del Benessere Sessuale, con il patrocinio del Ministero della Salute e della Federazione Nazionale Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri. L’obiettivo è quello di porre un’attenzione crescente all’educazione sessuale e affettiva in Italia, con il supporto di divulgazione riguardo le ricerche in sessuologia scientifica, col fine ultimo di aiutare le persone a trovare il proprio equilibrio attraverso la conquista del benessere.

«L’educazione alla sessualità e alla affettività rimane un nostro tema privilegiato» dichiara la dottoressa Roberta Rossi, presidente della FISS «Pensiamo che promuovere la salute sessuale attraverso la conoscenza e la consapevolezza sia una necessità sempre più evidente in una società come la nostra che vede sempre più contrapposti esposizioni continue a temi sessuali e nulla o scarsa informazione scientifica sulla sessualità». La Settimana del Benessere Sessuale concretizzata solitamente in tre principali attività: consulenze gratuite da parte dei professionisti e delle professioniste iscritti alla Federazione, sportelli di ascolto nelle scuole, e opportunità di divulgazione pubblica in tutta Italia.

settimana benessere sessuale
Alcune delle locandine degli eventi presenti in Lombardia. Foto: fissonline.it

«La tematica prescelta di questo anno» riporta la pagina Facebook della Federazione «è la contraccezione e la diffusione delle infezioni sessualmente trasmissibili, argomento che di recente sta richiamando l’attenzione di specialisti, per le evidenze riscontrate, soprattutto in Italia, dove 1 ragazzo su 10 non usa il preservativo né alcun tipo di contraccettivo. Questo dato la dice lunga, purtroppo, sulla disinformazione e sulla diseducazione».
Noi di Asterisco abbiamo stilato una lista di curiosità che riguardano questi due temi, con lo scopo di contribuire, nel nostro piccolo, anche alla divulgazione in questo ambito: ecco la lista delle dieci cose che forse non tutti sanno su MST e metodi contraccettivi.

  1. Molte delle MST sono inizialmente asintomatiche. Infezioni come la clamidia o l’HIV non hanno un riscontro concreto e visibile anche per mesi. Periodo che non esclude in alcun modo la possibilità di trasmissione. Contraccezione e controlli periodici sono l’unico modo per scongiurare il contagio e gli effetti devastanti, come quelli della sifilide, che se non curata (con una dose di antibiotico), può portare a paralisi, demenza e morte.
  2. Il rapporto più a rischio è quello anale. La mucosa anale è più fragile e meno protetta di quella vaginale e quindi è più facile, se non si usa una lubrificazione adeguata, che vi siano delle microlesioni del tessuto coinvolto che facilitino il contagio e l’ingresso di virus e batteri.
  3. Anche il sesso orale a una donna può essere protetto. Oltre al preservativo, come metodo contraccettivo, esiste il dental dam (oppure oral dam), un velo in lattice da applicare sulla vulva per la stimolazione orale. È utile l’utilizzo del dental dam anche per la stimolazione anale superficiale (anilingus).
  4. Anche il dildo va protetto! Sex toys condivisi possono essere un terreno di scambio per MST se non protetti da contraccettivi. Può sembrare banale, ma è fondamentale che la protezione sia sostituita ogni qualvolta il sex toy cambia destinatario del piacere. Altrimenti ogni altra precauzione risulta vana.
  5. I contraccettivi ormonali non proteggono dalle MST. I contraccettivi non sono tutti uguali e vanno usati con responsabilità. È assolutamente falso pensare che indistintamente i contraccettivi proteggano sia da gravidanza che dalle MST. Soltanto contraccettivi a barriera, cioè che creano una divisione che impedisce il contatto, possono ridurre il rischio di contrarre una MST. Contraccettivi ormonali come la pillola riducono solo il rischio di avere una gravidanza.
  6. Esiste anche il preservativo femminile. È molto simile al preservativo classico, ma va inserito all’interno della vagina. Inizialmente si presenta arrotolato a forma di anello. Dopo averlo introdotto nella vagina va srotolato fino a raggiungere la vulva. Può essere introdotto per poi essere srotolato nelle ore successive.
  7. Anche gli uomini potranno prendere la pillola. È già denominato “pillolo”, il nuovo contraccettivo ormonale maschile ancora in sperimentazione e che presto arriverà sul mercato farmaceutico. La particolarità è che al momento risulta essere efficace solo dopo due settimane dall’assunzione.
  8. Tutti hanno la candida. La candida non è una vera e propria MST. È in realtà un lievito normalmente presente nella mucosa vaginale e in alcuni tessuti maschili. Diventa infettiva qualora si venga contagiati o vi siano particolari condizioni come la presenza di malattie croniche, assunzione di particolari farmaci antibiotici, contraccettivi orali e gravidanza. In queste situazioni è meglio astenersi dai rapporti in quanto si rischia di “trasferire” il fungo e la sintomatologia annessa.
  9. Non esistono preservativi stretti. In commercio esistono preservativi di tutte le forme e misure. Anche chi ha un’allergia al lattice può ricorrere all’uso di profilattici in silicone. La verità è solo una: non esiste una buona ragione valida per non usare metodi contraccettivi, a meno che non si cerchi una gravidanza.
  10. C’è un solo metodo per evitare gravidanze e MST sicuro al 100%: l’ansia. È importante porre l’attenzione non tanto sulla percentuale di sicurezza, quanto sulla percentuale di riduzione del rischio. Ogni metodo contraccettivo ha la sua percentuale di rischio che, anche in alcuni casi, si avvicina molto al 100%, ma senza raggiungerlo. Ecco perché è fondamentale fare controlli periodici, sempre e comunque.
preservativo

La situazione è più grave di quel che sembra

Va da sé che in un Paese informato e consapevole, la Settimana del Benessere Sessuale non ha senso di esistere. L’Italia, purtroppo, non è uno di questi.

  • Se paragonato alle generazione passate, il sesso non risulta essere più un tabù tra le nuove generazioni. Nonostante ciò, secondo una ricerca della Bayer su nove paesi europei, tra cui l’Italia, il 41% delle gravidanze non sono pianificate e il 25% sono causate dalla totale mancanza di precauzione. Parlare liberamente di sesso, purtroppo, non significa parlarne in maniera corretta e consapevole.
  • Da un questionario online diffuso quest’anno dalla FISS, risulta che solo il 56,61% usa “abitualmente” i metodi contraccettivi, mentre il 20% riporta di non averlo mai usato. Il restante 9,29% preferisce affidarsi alla sorte usandolo “a seconda delle situazioni”.
  • Sempre dalla stessa ricerca emerge che il coito interrotto, pur non essendo un metodo anticoncezionale, viene usato “qualche volta” dal 29,29%, “sempre” dal 7,09%, 11,9% spesso e almeno una volta dal 6,41%.

Prevenzione e orientamento sessuale

Il pregiudizio diffuso è che gli omosessuali siano associati al virus dell’HIV e delle MST in generale. Questo perché esiste ancora uno stereotipo che associa gli omosessuali al comportamento sessuale promiscuo. Questo però non rispecchia la realtà: gli omosessuali hanno una percentuale minore di malati di HIV rispetto agli eterosessuali. Questo può essere dovuto dallo stereotipo di cui abbiamo appena parlato. Le comunità LGBT forniscono una buona prevenzione e supporto riguardo le MST, cosa che invece non accade per gli eterosessuali. Questo dimostra due cose: che le comunità LGBT forniscono un supporto sufficiente proprio perché è esclusivo, e che a livello nazionale quello che si sta facendo non è sufficiente. Il fatto che vi sia una disparità basata sull’orientamento sessuale non è tanto indicativo di un pregiudizio, quanto che la prevenzione e l’educazione sessuale in generale non viene fatta in maniera efficace a tutta la popolazione.

Dott. Stefano Daniele Urso
Dott.ssa Chiara Da bella

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