Come e perché usare un linguaggio neutrale

Quella che segue è un’introduzione all’utilizzo del linguaggio neutrale nella lingua italiana. Per linguaggio neutrale si intende una modalità espressiva che possa andare oltre l’utilizzo esclusivo del femminile e del maschile per riferirsi alle persone.

La lingua italiana formale rispecchia il binarismo di genere, ovvero la classificazione delle persone sulla base della forma dei genitali esterni in uno dei due generi mutuamente escludenti: il femminile e il maschile. Si avverte pertanto la necessità di sviluppare delle strategie espressive alternative, poiché abbattere le barriere linguistiche è un passo importante per abbattere le barriere relative al genere.

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Di frequente, nel rivolgersi a qualcunə, si utilizzano il maschile o il femminile basandosi su una prima impressione approssimativa dell’aspetto fisico o della sua espressione di genere.

Così facendo non si tiene conto del fatto che il sesso si riferisce unicamente a differenze di tipo biologico/anatomico, mentre il genere è un costrutto socio-culturale, e l’identità di genere è la percezione che ogni persona ha di sé in relazione all’adesione ad uno, entrambi, o nessuno, dei generi.Non c’è una corrispondenza obbligatoria tra sesso, genere e identità, così come può non esserci una corrispondenza obbligatoria con i pronomi utilizzati.

Pronomi e lingua italiana

I pronomi sono intesi, in questo contesto, in riferimento alla preferenza che ogni persona ha, per il modo in cui ci si rivolge a lei. Alcune persone utilizzano i pronomi femminili o maschili (lei o lui, e in inglese she/her o he/him). Alcune persone usano una sola serie di pronomi per riferirsi a sé stesse (lei o lui), altre usano più pronomi (lei/loro, alternare tra lei e lui, o qualsiasi pronome) e alcune non usano alcun pronome (preferendo il nome proprio), o utilizzano neopronomi neutri come ləi. I pronomi utilizzati ci aiutano a capire se le persone per riferirsi a loro stesse usano il femminile, il maschile, entrambi, o nessuno e a declinare il linguaggio di conseguenza

L’italiano è una lingua flessiva e, oltre ai pronomi, anche i sostantivi, gli articoli, gli aggettivi, e alcuni tempi verbali sono declinati per genere. Questo evidenzia una mancata rappresentazione a livello sintattico, come a livello sociale, di chi non appartiene o non sente di appartenere a una delle due categorie.

Esistono alcune strategie per sostituire nei testi scritti le vocali genderizzate (come “a” e “o” ) con segni grafici come la chiocciola @, l’asterisco *, la schwa ə, e per il plurale la schwa lunga ɜ, al fine di usare un linguaggio inclusivo. Questo avviene anche in altre lingue con modalità diverse.

Nel parlato, adottare un linguaggio neutro quando si parla di/con altre persone può risultare ancora ostico. Per moltɜ risulta strano “troncare” le parole omettendo l’ultima lettera, o utilizzare la schwa pronunciata come una vocale “muta” e gutturale.

Pronomi e identità

Molte persone con un’identità di genere non binaria scelgono di esprimerla attraverso l’uso dei pronomi neutri. In altre lingue questo è diffuso o agevolato, ad esempio dall’utilizzo di diversi pronomi e neopronomi.

Occorre però ricordare che i pronomi non sono necessariamente un indicatore dell’identità della persona.

Non tutte le persone non binarie, ad esempio, usano i pronomi neutri. Alcune persone non binarie alternano tra pronomi maschili e femminili, altre scelgono quelli in cui si riconoscono di più.Viceversa, non è necessario che una persona si riconosca come transgender o non binaria per scegliere di utilizzare i pronomi neutri. Una persona potrebbe essere in fase di questioning, cioè interrogarsi sulla propria identità di genere, potrebbe identificarsi come cisgender o non cisgender e riconoscersi nei pronomi neutri.

Perché è importante rispettare i pronomi utilizzati?

È ormai comprovato come il tentativo di racchiudere le identità di genere e sessuali in due poli opposti ed esclusivi, non si sia dimostrato sufficiente. Sebbene i pronomi non siano necessariamente allineati con l’identità di genere, possono dare modo alle persone di affermare e comunicare la propria identità e/o espressione di genere.

Quando si utilizza un pronome, articolo o desinenza errate (il cosiddetto misgendering) parlando con qualcunə, questə può sentirsi in difficoltà, imbarazzata, o persino invalidata rispetto alla propria identità/esistenza: dover correggere o ricordare i propri pronomi di frequente comporta un importante carico emotivo e cognitivo.

È auspicabile evitare di mettere le persone nella condizione di dover correggere i pronomi che si usano per rivolgersi a loro. 

Prestare attenzione ai pronomi utilizzati dalle persone è una piccola accortezza che può avere un risvolto molto profondo: per molte persone il semplice fatto di essere chiamate con i pronomi corretti può essere valorizzante e farle sentire viste e rispettate per come sono.

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Esempi pratici 

Come fare quando non si conoscono i pronomi utilizzati, o si vuole utilizzare un linguaggio neutro?

Bastano alcune strategie per aggirare l’obbligo di usare uno dei due generi. Inoltre, nella lingua italiana, esistono già strutture verbali che non implicano l’uso del genere nella loro forma originale, e che quindi non richiedono alcuna modifica.

Ecco alcuni esempio per rendere più neutre frasi di uso comune.

  1. Utilizzare il nome della persona:

È per lui/lei → È per Ale

Lei/lui ha già pagato → Ale ha già pagato

  1. Selezionare strutture verbali che non implicano un genere

Ti sei divertita/divertito? → È stato divertente?

Ti sei spaventato/spaventata? → Hai avuto paura?

È molto esperta/esperto →  Ha molta esperienza

  1. Utilizzare la schwa o “troncare” la vocale

Sei stanco/stanca? → Sei stancə? Sei stanc?

  1. Chiamare, indicare, o descrivere senza utilizzare un pronome: l’importanza della persona

Lui/lei ha dimenticato lo zaino → Quella persona ha dimenticato lo zaino

Chiediamolo a quell’uomo/quella donna → Chiediamolo alla persona che ha appena parlato/la persona con la camicia rossa/la persona vicino al tavolo

  1. Utilizzare pronomi relativi e interrogativi che non hanno un genere, come ad esempio “chi”

Guarda, arrivano le ragazze/i ragazzi! → Guarda chi arriva!

Ti ha accolto lui/lei? →  Chi ti ha accolto?

In conclusione, è importante non dare per scontato quali siano i pronomi con cui una persona si riconosce.

Per alcune persone i pronomi sono sempre gli stessi, per altre cambiano in base alla giornata, alla fase della vita, oppure ai contesti (ci sono alcuni contesti in cui utilizzare i propri pronomi non è percepito come sicuro). 

Il modo migliore per capire che pronomi utilizzare, è quello di non dare nulla per scontato e ascoltare il modo in cui la persona usa i pronomi per riferirsi a se stessa in ciascun contesto. Se non c’è occasione di dedurre i pronomi si può chiedere educatamente quali utilizzare, o utilizzare strategie che evitino di dover scegliere arbitrariamente tra maschile e femminilie.

Usare un linguaggio e dei pronomi neutri, quando appropriato, ha un risvolto positivo immediato in quanto è una dimostrazione di rispetto per la persona a cui ci rivolgiamo ed è stato dimostrato che contribuisce a diminuire pregiudizi e atteggiamenti discriminatori nei confronti delle donne e delle persone non binarie. Infine, inserire pronomi neutri nel linguaggio può avere anche valenza simbolica perché significa rende possibile rappresentare la pluralità dell’identità.

Glossario

Identità di genere: Senso intimo, profondo e soggettivo di appartenere o relazionarsi al genere o ai generi. Può essere stabile o cambiare nel tempo.

Transgender: Persona la cui identità di genere non si allinea con il sesso assegnato alla nascita. Alcune persone transgender si identificano con il genere opposto a quello di nascita, ma il termine comprende anche coloro la cui identità di genere va oltre il binarismo maschile-femminile che si riconoscono in questa definizione.

Cisgender: Persona la cui identità di genere si allinea con il sesso assegnato alla nascita.

Identità non binaria: Identità di genere che va oltre la tradizionale dicotomia di genere e comprende un’ampia gamma di identità che non si allineano esclusivamente come uomo o donna.

Lingua genderizzata: L’italiano è una lingua flessiva con due soli generi, il maschile e il femminile, e in caso di moltitudini miste prevede che si ricorra al maschile sovraesteso.

Questioning: Processo di ricerca personale durante il quale ci si interroga sulla propria identità sessuale o di genere, senza ancora averla chiaramente definita, in cui si può sperimentare e/o porsi domande al fine di comprendere meglio.

Misgendering: L’uso di pronomi e categorie di genere scorrette quando ci si rivolge a un’altra persona. È stato definito come un atto microaggressivo.

Neopronomi: Neologismi che differiscono dai pronomi più comunemente usati in una determinata lingua. Esempi di neopronomi  in inglese sono: xe/xir/xirs, ze/zir/zirs.

Pronomi neutri: Scelta linguistica che non presenta connotazioni di genere, e permette di riferirsi a una persona senza dover assumere un genere specifico.

Bibliografia

  • Comandini, G. « : Indagine Su Un Corpus Di Italiano Scritto Informale Sul Web». Testo E Senso, n. 23, dicembre 2021, pagg. 43-64, https://testoesenso.it/index.php/testoesenso/article/view/524.
  • Lewis, M., Lupyan, G. Gender stereotypes are reflected in the distributional structure of 25 languages. Nat Hum Behav 4, 1021–1028 (2020). https://doi.org/10.1038/s41562-020-0918-6
  • Lubello S., Nobili C., L’italiano e le sue varietà, Firenze, Franco Cesati Editore, 2018.
  • Marotta, I., & Salvatore, M. (2016). Un linguaggio più inclusivo? Rischi e asterischi nella lingua italiana. gender/sexuality/italy, 3, 1-15.
  • Tavits, M., & Pérez, E. O. (2019). Language influences mass opinion toward gender and LGBT equality. Proceedings of the National Academy of Sciences, 116(34), 16781-16786.

L’orologio biologico: un mito da sfatare

Ancora oggi tantissime donne quando immaginano il proprio futuro, fin da bambinЗ, contemplano la genitorialità come aspetto – e talvolta obiettivo – centrale nella propria vita. 

Anche se negli ultimi anni il desiderio di genitorialità ha lasciato spazio ad altri aspetti della vita, quali ad esempio lo studio, la carriera, la soddisfazione personale ecc., moltissime donne sentono ancora la pressione di «riuscire a sistemarsi e a fare un figlio entro i 35 anni». 

Questa preoccupazione spesso sottende una credenza che prende il nome di “orologio biologico”.

Esattamente l’orologio biologico che cos’è?

Comunemente con “orologio biologico” ci si riferisce al fatto che la fertilità femminile non è perenne e che, ad un certo punto, la possibilità di avere unǝ figliǝ si riduce notevolmente. 

Dal punto di vista biologico, in effetti, la fertilità declina con il passare del tempo  – oltre una certa età – è molto più difficile riuscire a concepire unǝ figliǝ.

La questione dell’orologio biologico – come comunemente inteso a livello culturale – però è più complessa rispetto al mero piano biologico e sottende degli importanti elementi di pregiudizio e discriminazione.

Moira Weigel, nel suo libro “Labor of Love: the invention of dating”, analizza il concetto di orologio biologico partendo dalla sua origine. 

Originariamente questo termine si utilizzava in ambito scientifico e si riferiva ai ritmi circadiani di sonno veglia. Esso è stato estrapolato dall’ambito scientifico ed è stato associato per la prima volta al tema della fertilità femminile solo nel 1978, in un articolo del Washington Post scritto da un opinionista, Richard Cohen.

Questa definizione di orologio biologico – ovvero il fatto che la fertilità femminile ha una data di scadenza a breve termine – si è diffusa velocemente nell’opinione pubblica, radicandosi nella nostra cultura. 

Ancora oggi, infatti, la fertilità delle persone socializzate femmine viene accostata all’orologio biologico e a essa sono associate diverse credenze, spesso errate. 

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A tal proposito la psicologa Jean M. Twenge, in un articolo del 2013, ha mostrato che queste statistiche derivano da uno studio del 2004 che si basa su dati riguardanti le nascite in Francia raccolti tra il 1670 e il 1830, dunque non rappresentativi rispetto alla possibilità di essere fertili o meno nel contesto sociale attuale. Secondo Twenge questo è uno degli esempi più spettacolari di come i media possano fallire nell’interpretare e riportare i dati delle ricerche scientifiche.
«In altre parole, a milioni di donne viene detto quando dovrebbero rimanere incinta basandosi su statistiche di un periodo precedente a elettricità, antibiotici e trattamenti per la fertilità» (Twenge)

Con questo articolo non si vuole mettere in discussione l’incidenza dell’età sulle possibilità riproduttive, si riconosce infatti che vi sono ampie evidenze scientifiche a supporto della correlazione tra aumento di età e declino di fertilità.

Ciò che risulta interessante però è che a fronte di un’equa incidenza di infertilità e una simile diminuzione di fertilità di tutti i generi in relazione all’età, il concetto di orologio biologico sia associato solo al genere femminile, senza prendere in esame la condizione maschile.
A tal proposito si riporta quanto scritto da Moira Weigel in un suo articolo sul The Guardian:«la storia dell’orologio biologico è una storia riguardante scienza e sessismo». Secondo l’autrice è infatti evidente come le assunzioni riguardanti il genere possano strumentalizzare la divulgazione delle ricerche scientifiche per servire fini sessisti.

Come mai il declino della fertilità, a livello culturale, è solo una questione femminile?

Nel sopracitato articolo di Cohen pubblicato nel 1978 sul Washington Post emerge un tono critico riguardo l’emancipazione lavorativa femminile. In effetti il periodo in cui l’articolo di Cohen è stato scritto,, è proprio la fine degli anni ’70, momento in cui la presenza femminile nel mercato del lavoro statunitense è fortemente in crescita e la nuova definizione di orologio biologico ha cominciato a diffondersi e a fissarsi nella nostra cultura. 

Per comprendere la diffusione del concetto di “orologio biologico” legato alla fertilità femminile è importante sottolineare che l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro degli anni ‘70 ha messo in discussione l’ordine sociale in quanto ha inciso direttamente sulle rappresentazioni e le prescrizioni di genere.  Secondo tale “ordine sociale”, le donne infatti si dovrebbero occupare solamente della vita privata, della casa e della famiglia, lasciando agli uomini le relazioni con il mondo esterno e il compito di procacciare le risorse per il sostentamento della famiglia (Rudman e Glick, 2010). 

Il concetto dell’orologio biologico permette di contrastare la crisi dei ruoli sociali tradizionali rinforzando una specifica pressione sociale sulle donne nei confronti del presunto desiderio istintivo di maternità, alimentando in esse il timore che potrebbero in futuro pentirsi di non aver avuto figlЗ e il senso di colpa per aver preferito la carriera alla maternità. 

Sostanzialmente l’orologio biologico diventa un’arma per contrastare gli effetti dell’emancipazione femminile.

Potremmo interpretare questi eventi come un esempio di backlash (Rudman, 1998), ovvero una forte reazione della società ai tentativi di emancipazione femminile per ristabilire lo status quo. In altre parole la società spinge verso una maggiore prescrittività del ruolo tradizionale femminile, secondo cui le donne sono fatte per essere madri e non lavoratrici, contrastando i tentativi di raggiungere l’eguaglianza di genere.

«Ci sono cose di cui noi uomini non dovremo mai preoccuparci. Come il ticchettare dell’orologio biologico. […] Qui è dove finisce la liberazione femminile» (Cohen)

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Come si evince dalla citazione riportata, nel suo articolo, Cohen non perde occasione per evidenziare il fatto che il discorso riguardante la fertilità sia un problema esclusivamente femminile: sono le donne a doversi preoccupare della propria fertilità e a dover progettare la propria vita, privata e lavorativa, in base alla volontà di diventare madri. Successivamente, una volta divenute madri, la maggior parte del lavoro di cura sarà a carico loro (Belotti, 1973).

Pensare che il tema della genitorialità riguardi solo ed esclusivamente le donne e non sia in alcun modo dipendente dalla volontà maschile è profondamente negativo per tutti i generi

Questo tipo di narrativa, infatti, continua a rinforzare gli stereotipi alla base del sessismo e delle differenze di genere. Le donne sono “communal” , ovvero hanno l’obiettivo di entrare in relazione con le altre persone, quindi spetterà loro il compito di occuparsi della prole; gli uomini , invece, sono “agentic”, ovvero sono focalizzati al raggiungimento dei proprio obiettivi personali e alla soddisfazione dei propri bisogni, quindi si occuperanno di lavorare e procacciare le risorse (Bakan, 1966; Fiske, Cuddy e Glick, 2007).

Gli stereotipi e le prescrizioni sociali tradizionali di genere riducono le possibilità di immaginarsi e di diventare ciò che si desidera, perseguendo i propri obiettivi. 

Ad esempio, secondo i ruoli tradizionali, alle donne non è concesso di essere competenti, competitive e assertive e agli uomini non è concesso di essere affettuosi, sensibili e poco ambiziosi. Tali stereotipi non impattano unicamente sul genere femminile e quello maschile, ma anche sulle persone non binarie che vengono invisibilizzate, invalidate e discriminate. 

In una società sessista si continuerà a considerare con sospetto un uomo che afferma la propria volontà di lasciare il lavoro per rimanere a casa ad occuparsi dellЗ propriЗ bambinЗ e si continuerà a giudicare negativamente una donna che decide di ricorrere alla sterilizzazione perché ama il proprio lavoro ed è certa che di bambinЗ non ne vorrà mai.

Sicuramente è da considerare il fatto che l’articolo di Cohen risale al 1978. Oggi molti uomini ricoprono ruoli di cura genitoriale e/o domestica e molte donne lavorano. Nonostante questo siamo molto lontanЗ dal raggiungimento della parità di genere, basti pensare alle differenze nei congedi genitoriali (10 giorni per paternità e 5 mesi per maternità) o al gender gap in ambito lavorativo (differenze salariali e tasso di disoccupazione). 

Inoltre, le pressioni sociali e i pregiudizi sessisti continuano a impattare negativamente sulle persone di ogni genere, ogni qualvolta esse decidano di distanziarsi dai ruoli tradizionali.

Letture consigliate

  • Volpato, C. (2013). Psicosociologia del maschilismo. Gius. Laterza & Figli Spa.
  • Rudman, L. A., & Glick, P. (2021). The social psychology of gender: How power and intimacy shape gender relations. Guilford Publications.
  • Belotti, E. G. (1973). Dalla parte delle bambine. Feltrinelli.

Bibliografia

  • Bakan, D. (1966). The duality of human existence: an assay on psychology and religion. Rand MacNally.
  • Belotti, E. G. (1973). Dalla parte delle bambine. Feltrinelli.
  • Cohen, R. (1978). The Clock Is Ticking For the Career Woman. The Washington Post https://www.washingtonpost.com/archive/local/1978/03/16/the-clock-is-ticking-for-the-career-woman/bd566aa8-fd7d-43da-9be9-ad025759d0a4/?utm_term=.54e1781a98d7
  • Fiske, S. T., Cuddy, A. J., & Glick, P. (2007). Universal dimensions of social cognition: Warmth and competence. Trends in cognitive sciences, Vol. 11, No. 2, 77-83.
  • Momigliano, A. (2016). L’amore ai tempi dell’orologio biologico. Rivista Studio http://www.rivistastudio.com/standard/orologio-biologico/
  • Rudman, L. A. (1998). Self-promotion as a risk factor for women: The costs and benefits of couter-stereotypical impression management. Journal of Personality and Social Psychology, 74, 629–645.
  • Rudman, L. A., & Glick, P. (2010). The social psychology of gender: How power and intimacy shape gender relations. Guilford Press
  • Twenge, J. M. (2013). How long can you wait to have a baby? The Atlantic. https://www.theatlantic.com/magazine/archive/2013/07/how-long-can-you-wait-to-have-a-baby/309374/
  • Weigel, M. (2016). The foul reign of the biological clock. The Guardian https://www.theguardian.com/society/2016/may/10/foul-reign-of-the-biological-clock

Mascolinità egemonica: quando il maschile è sfavorevole

Sebbene le ricadute cliniche e sociali delle mascolinità e delle norme di genere siano ancora particolarmente evidenti al giorno d’oggi, negli ultimi anni la letteratura scientifica ha permesso una comprensione più profonda di questi fenomeni.

È stato dimostrato che fin dalla prima infanzia le interazioni sociali forniscono un quadro culturale di riferimento attraverso cui tutte le persone apprendono le aspettative sociali legate al proprio sesso assegnato alla nascita. A tal proposito, il contesto di appartenenza contribuisce a definire i premi e le sanzioni associate al conformarsi o meno alle norme maschili. 

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La cultura è una variabile fondamentale che influenza la trasmissione di credenze e comportamenti legati al ruolo di genere. 

È importante tenere a mente che la discussione di quanto segue verterà sulle norme di genere che hanno caratterizzato la nostra cultura occidentale/europea, in cui sembrano essere maggiormente pressanti e rigide per gli uomini rispetto alle donne. Tuttavia, una futura disamina che comprenda l’analisi di altre e diverse culture permetterà una consapevolezza maggiore del fenomeno.

Gli effetti della mascolinità egemonica sulla società

I primi studi che hanno affrontato il tema della mascolinità si sono focalizzati sull’impatto che questa può avere sul genere femminile, analizzando ad esempio le conseguenze della mascolinità egemonica. Connell e Messerschmidt definiscono la mascolinità egemonica come l’insieme di azioni e pratiche che contribuiscono al predominio degli uomini, legate alla mascolinità più tradizionale, esemplare, e altamente visibile, nel nostro contesto culturale. La violazione di tali norme di mascolinità socialmente imposte (ad esempio evitare espressioni di femminilità, emozioni e sentimenti, e prediligere aggressività e autosufficienza) è solitamente sanzionata dalla società. L’adozione di una definizione rigida e stereotipata di mascolinità, potenzialmente in interazione con atteggiamenti sessisti, patriarcali o misogini, è stata associata all’insorgenza di episodi di violenza contro il genere femminile. Knutson e Goldbach, della Southern Illinois University, suggeriscono che aspettative e credenze molto rigide legate alle norme di genere maschile possono dare adito ad atti di violenza contro persone che non si adattano pienamente a tali standard, come persone trans o genderqueer.

Gli effetti della mascolinità egemonica sugli uomini

La letteratura psicologica ha evidenziato che l’aderenza a ideali tradizionali e egemonici legati alla mascolinità è potenzialmente dannosa per la salute mentale, relazionale e comportamentale di ragazzi e uomini stessi. In particolare, è stato dimostrato dalle ricerche di Joseph Vandello che gli uomini provano maggiori stati di stress e ansia quando si sentono lontani dallo stereotipo maschile, e tentano di dimostrare e riaffermare la propria mascolinità per ridurre lo stato spiacevole che provano. Il fatto che allontanare i bisogni emotivi e relativi alla propria salute mentale sia un elemento intrinseco della mascolinità stessa, ha ricadute ancor più gravi sulla salute di questi ultimi.  Date tali premesse, l’American Psychological Association (APA) ha pubblicato nel 2018 le Linee guida per la pratica clinica con ragazzi e uomini, con l’obiettivo di promuovere trattamenti mirati, i quali prendano in considerazioni il sistema di valori e le norme associati alla mascolinità.

Oltre la mascolinità cisgender

Adottando una visione contemporanea, che contempla l’identità di genere di una persona come fluida, è importante riflettere sul modo in cui le norme maschili possono essere internalizzate da ragazzi e uomini transgender. Le ricerche di Knutson e Goldbach  hanno dimostrato che gli uomini o i ragazzi transgender possono sentirsi spinti a presentarsi come più maschili per evitare discriminazioni e minacce, invece di vivere con libertà la loro espressione di genere. A tal proposito, è necessario tenere a mente che la concezione binaria del genere, ovvero composto da due categorie mutualmente escludenti, è stata ampiamente messa in discussione (come abbiamo discusso in questo precedente articolo). Un progressivo allontanamento dalla concezione binaria ha accolto la possibilità di sovrapposizione e fluidità di categorie sociali, compreso il genere. In quest’ottica, futuri studi saranno necessari per allontanare il concetto di mascolinità da un’espressione di genere univoca, analizzando l’impatto e l’adozione di norme legate ad essa da parte di persone con identità di genere non conforme.

La mascolinità egemonica non è l’unica espressione del maschile, ma rappresenta una estremizzazione di alcuni comportamenti e credenze culturalmente trasmessi. È importante riconoscere che la definizione di maschile non è associata a un’unica espressione di genere, ma a persone con identità o espressioni di genere diverse.

Bibliografia

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  • Connell, R. W., & Messerschmidt, J. W. (2005). Hegemonic masculinity: Rethinking the concept. Gender & Society, 19(6), 829–859. https://doi.org/10.1177/0891243205278639
  • Knutson, D., & Goldbach, C. (2019). Transgender and non-binary afrmative approaches applied to psychological practice with boys and men. Men and Masculinities, 22(5), 921–925. https://doi.org/ 10.1177/1097184X19875174
  • Levant, R. F. , McDermott, R. , Parent, M. C., Alshabani, N. , Mahalik, J. R., & Hammer, J. H. (2020). Development and evaluation of a new short form of the Conformity to Masculine Norms Inventory (CMNI30). Journal of Counseling Psychology, 67(5), 622–636. https://doi.org/10.1037/cou0000414
  • Rivera, A., & Scholar, J. (2020). Traditional masculinity: A review of toxicity rooted in social norms and gender socialization. Advances in Nursing Science, 43(1), E1–E10. https://doi.org/10.1097/ANS.0000000000000284

Per approfondimenti

  • (In inglese) Pascoe, C. J., & Bridges, T. (2016). Exploring masculinities: Identity, inequality, continuity, and change. Brockport Bookshelf. 391.

Educazione Sessuale Inclusiva: il Manifesto di Asterisco

Questo è il Manifesto di educazione sessuale inclusiva di Asterisco.

Ha l’obiettivo di esplicitare i nostri valori, i nostri intenti e di accompagnare la lettura di tutti i nostri futuri contributi sul tema della sessualità. Ci auguriamo possa diventare un punto di riferimento per tutte le persone che decidono di approcciarsi al tema della sessualità e dell’educazione sessuale con uno sguardo attento alle diversità.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, 2006) la salute – di cui quella sessuale è parte integrante – è un diritto fondamentale di ciascuna persona.
La promozione della salute e del benessere sessuale richiede di affrontare il tema della sessualità in maniera etica e scientifica, con un’attenzione a non ridurne la complessità e valorizzando le diversità. Già da alcuni anni si parla di «educazione sessuale comprensiva» (UNPFA, 2020), «estesa» e «integrata» (Verde & Del Ry, 2004). In Asterisco abbiamo elaborato una nostra visione di ciò che un’educazione sessuale inclusiva dovrebbe essere partendo da un’analisi critica delle fonti in letteratura e integrandola con le nostre esperienze multidisciplinari.
Parleremo di sessualità e di educazione sessuale in senso esteso, nel pieno rispetto di tuttЗ.

Cos’è la sessualità per Asterisco?

La nostra visione di sessualità è bio-psico-sociale. La sessualità è un insieme di diverse dimensioni che si estendono dal livello biologico “micro” (fenotipo, cromosomi ecc.), sino al livello sociale “macro” (espressione di genere). Essa riguarda numerosi aspetti della persona: corpo, sensi, zone erogene, genitali (conformi o meno), psiche, cervello, funzionamento neurologico (tipico/atipico), attrazione (sessuale, romantica, estetica e non solo), relazione (fisica, affettiva, platonica, ecc.), pratiche sessuali (tipiche/atipiche), desiderio, fantasie, riproduzione, aborto, diritti, salute, MTS, orientamento sessuale, orientamento romantico, orientamento relazionale, identità di genere, espressioni di genere, ruoli di genere e stili relazionali.

La sessualità è una componente presente in tutti i livelli di analisi, dalla biologia alla cultura/società di appartenenza. Per questo motivo, quando si parla di sessualità, devono essere tenuti in considerazione e affrontati tutti i seguenti elementi:

  • Tutte le persone hanno valore, nel corpo e nella mente. Promuoviamo il rispetto dell’unicità e delle diversità, scardinando i concetti di “normalità/anormalità” e “tipicità/atipicità” rispetto alla sessualità;
  • Tutte le persone hanno diritto alla salute e al benessere sessuale, che non segue standard, è personale ed è parte imprescindibile del benessere globale dell’individuo;
  • Tutte le persone hanno diritto al piacere, sia in autonomia sia in condivisione. Il piacere non è obbligatorio, è soggettivamente determinato, cioè definito da ogni singolo individuo per sé. Il piacere deve essere il centro del discorso sulla sessualità;
  • La sessualità è un diritto e non un dovere. Esercitare questo diritto prevede il rispetto dei diritti altrui;
  • Il consenso alla sessualità deve essere esplicito ed entusiasta. Qualsiasi pratica o attività sessuale deve fondarsi sul consenso esplicito ed entusiasta da parte di tutte le persone coinvolte. Le persone devono essere consapevoli di ciò che succede e acconsentire in modo chiaro,comprensibile e con convinzione. Il consenso è un processo continuo e può essere tolto il qualsiasi momento;
  • Le persone hanno il diritto alla consapevolezza e all’autodeterminazione. Ogni identità, espressione, orientamento, stile relazionale ha valore;
  • La sessualità riguarda tutto il ciclo di vita delle persone: è un elemento che appartiene a qualunque età, dal periodo prenatale fino alla morte − e, in alcune accezioni anche oltre;
  • Il tema della sicurezza nella sessualità deve essere valorizzato considerando in primis il benessere, invece del mero evitamento del rischio e del danno. La protezione e la sicurezza non sono dimensioni solo fisiche ma anche psicologiche e relazionali;
  • La sessualità, quando esercitata come libera scelta e senza coercizione, può anche essere lavoro. Tale scelta va accettata e rispettata.

Che cos’è l’educazione sessuale inclusiva per Asterisco?

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L’educazione sessuale che vogliamo:

  1. Utilizza un linguaggio positivo, inclusivo con un approccio non giudicante e attento alla convivenza delle diversità;
  2. Ha come obiettivo primario la diffusione di consapevolezza e benessere sessuale. Secondariamente ha l’obiettivo di promuovere il cambiamento sociale attraverso la divulgazione scientifica, la promozione di una cultura aperta alle diversità e la decostruzione di pregiudizi, falsi miti e standard che rimandano a stereotipi di genere, di orientamento sessuale, affettivo e di relazione. Infine, ha l’obiettivo di affermare e veicolare il messaggio che tutte le esperienze consensuali nella sessualità sono valide e di valore.
  3. È sessuo-affettiva. L’educazione sessuale si occupa non solo della sfera fisica e sessuale, ma anche di emozioni, affettività e relazione con se stessЗ e le altre persone;
  4. È fluida e in costante mutamento. L’educazione sessuale si costruisce e adatta alle caratteristiche dell’interlocutorǝ, del contesto e della cultura in cui agisce;
  5. È intrinsecamente politica. L’educazione sessuale promuove una visione del mondo aperta e progressista, in cui tutte le persone, indipendentemente dalle loro appartenenze, meritano rispetto, ascolto e partecipazione. L’educazione sessuale deve essere accessibile a tuttЗ, a prescindere dal gruppo sociale di appartenenza;
  6. È curiosa e positiva. L’ascolto attivo e curioso delle domande e delle esperienze di chi si rivolge all’educazione sessuale devono guidare la costruzione dell’attività, adattando quest’ultima allo specifico contesto senza seguire protocolli rigidamente standardizzati e approcciando il tema con gioia e positività;
  7. È democratica e costruttivista. L’educatorǝ sessuale, in virtù del proprio sapere e delle proprie competenze, deve essere consapevole di far parte di una relazione asimmetrica con l’utenza. Oltre a ciò deve cercare di ridurre la distanza sociale optando per progettualità co-costruite e per una diffusione orizzontale e democratica del sapere;
  8. È multiprofessionale. È fondamentale che diverse figure collaborino, ciascuna con la propria specifica competenza, alla costruzione dell’educazione sessuale (professionistЗ della salute, attivistЗ, figure di accudimento, istituzioni, sex toys advisors, ecc.).
  9. È itinerante. L’educazione sessuale può essere portata in ambienti differenti (luoghi di lavoro, di cultura, intrattenimento, mass-media, ecc.) e non limitandosi al solo ambiente scolastico o socio-sanitario.
  10. È analogica e digitale. L’educazione sessuale deve essere promossa attraverso modalità di educazione con supporti esperienziali (seminari, workshop, ecc.) e peer education, utilizzando adeguatamente le tecnologie più avanzate e i vari canali di comunicazione;
  11. È attenta alla scienza, con uno sguardo critico ai limiti dell’attuale stato dell’arte in questo campo. Riteniamo fondamentale includere nella ricerca scientifica di settore tutti i gruppi sociali, compresi quelli minoritari, tenendo in forte considerazione anche il benessere delle persone che vi appartengono;
  12. L’educazione sessuale deve essere normata. Abbiamo bisogno che l’educazione sessuale sia accompagnata e sostenuta da una o più leggi che la riconoscano e la tutelino in modo che questa venga considerata un diritto fondamentale di ciascun individuo;

Conoscere se stessЗ e il proprio corpo, esplorare relazioni positive e soddisfacenti con le altre persone accogliendo le differenze, vivere la propria e altrui sessualità con piacere, rispetto e sicurezza, sono tutti elementi su cui è fondamentale investire ed educare.
Per questo Asterisco lavora affinché l’educazione sessuale diventi legge.
Perché fare educazione sessuale significa anche fare cultura e politica. E attraverso la cultura e la politica è possibile cambiare il mondo.

Letture consigliate

Bibliografia

Oltre il binario: le definizioni dell’identità sessuale 

Per parlare in modo efficace della comunità LGBTQIAPK+ è fondamentale parlare di identità sessuale. È importante partire quindi dalle basi, definendo con precisione le dimensioni fondamentali per entrare con consapevolezza nel meraviglioso mondo delle Gender, Sexuality, Relationship Diversities. 

L’identità sessuale è una componente dell’identità di ogni essere umano. In letteratura è stata descritta come un costrutto multidimensionale composto da sesso biologico, identità di genere, ruolo di genere e orientamento sessuale. 

L’identità sessuale emerge dalla complessa interazione tra fattori biologici, psicologici, sociali e culturali. Essa è fluida, ovvero può cambiare nel corso della nostra vita, e può essere o meno in linea con il nostro sesso biologico, il nostro comportamento sessuale o il nostro orientamento sessuale effettivo.

Il sesso biologico come spettro

Quando parliamo di sesso biologico, solitamente pensiamo ai maschi e alla femmine. In realtà la situazione è più complessa.

A livello scientifico il sesso biologico si riferisce alle differenze fisiche tra individui maschi, femmine o intersessuali ed è definito da almeno dieci diversi marcatori biologici, come ad esempio cromosomi, gonadi,espressione genica, tipi e livelli di secrezione ormonale, ecc.

Il sesso biologico viene considerato uno spettro, ovvero una dimensione continua in cui maschi e femmine non sono divisi arbitrariamente in due categorie separate e indipendenti. Nello specifico il sesso biologico presenta quella che in statistica viene definita una distribuzione bimodale, ovvero la maggior parte delle persone ha caratteristiche sessuali esclusivamente maschili o esclusivamente femminili. A queste si aggiungono persone che si trovano al centro dello spettro, tra il sesso maschile e il sesso femminile. 

Rappresentazione grafica della distribuzione bimodale del sesso biologico in cui si evidenzia lo spazio esistente tra maschile e femminile e rappresentazione di una distribuzione binaria - errata - in cui non esiste lo spazio tra maschile e femminile e quindi non viene considerata l'intersessualità
La distribuzione bimodale comprende l’intersessualità nello spettro di sesso biologico. Il modello binario non è realmente rappresentativo della diversità sessuale umana. 

L’interesessualità è il termine ombrello usato per identificare tutte quelle persone che si trovano al centro dello spettro del sesso biologico e presentano caratteristiche sessuali che non sono esclusivamente maschili o femminili. Esistono molte forme di intersessualità, alcune di queste sono immediatamente visibili, ad esempio a causa di genitali non conformi, altre emergono solo con esami clinici specifici.

Nonostante queste evidenze, ancora oggi a livello culturale spesso si tende a considerare il sesso umano come una dimensione esclusivamente binaria composta da due gruppi differenti e separati tra loro: maschi e femmine. 

Generalmente il sesso viene assegnato alla nascita sulla base di poche caratteristiche fisiologiche, in particolare l’osservazione dei genitali e – in alcuni casi – la composizione cromosomica. Questa modalità di assegnazione può risultare parzialmente errata, se non del tutto, e reiterare un forzato binarismo sessuale in cui le persone intersessuali rischiano di subire medicalizzazioni atte a correggere ciò che culturalmente viene considerato non conforme, cioè “fuori norma”.

Quando viene assegnato  il sesso a una persona appena nata si sta anche – più o meno consapevolmente – contribuendo a costruire le aspettative su come quella persona dovrà essere e comportarsi in base al suo essere femmina o maschio, in altre parole le stiamo assegnando un genere.

Il genere: definizione, identità ed espressione

Il genere viene definito come un costrutto bio-psico-sociale in cui le diverse componenti hanno una relazione e un’interazione complessa.

Le componenti biologiche si riferiscono in particolare al funzionamento cerebrale e ormonale. Le componenti psicologiche si riferiscono a come percepiamo e sperimentiamo  il nostro genere, ovvero alla cosiddetta  identità di genere. Le componenti sociali riguardano il modo in cui percepiamo il genere a livello sociale attraverso norme, ruoli ed espressioni nelle diverse culture e nei diversi periodi storici.

Anche il  genere può essere concettualizzato, come il sesso biologico in termini di spettro e fluidità. Nel mondo esistono sia culture che considerano il genere come binario –  esistono solo uomini e donne –, sia culture che contemplano l’esistenza di più generi oltre al maschile e al femminile. 

A differenza di quanto si pensi, il genere e il sesso biologico sono due cose diverse, e non sempre coincidono. A livello culturale infatti le differenze biologiche tra i sessi sono percepite come fortemente corrispondenti a differenze di genere profonde e immutabili: ad esempio se una persona è femmina, allora è donna e sarà gentile e accogliente. Questa corrispondenza forzata viene definita in letteratura come essenzialismo psicologico e ciò comporta una percezione di genere basata unicamente sulle differenze biologiche tra maschi e femmine.

Il genere però non necessariamente corrisponde al sesso biologico della persona. Ad  esempio esistono persone assegnate “femmine” alla nascita che si riconoscono nel genere maschile o viceversa. Esistono anche persone non binarie, che non si riconoscono in nessun genere, che si riconoscono in una combinazione dei due generi, che si riconoscono in un terzo genere o in più generi.

L’identità di genere riguarda la consapevolezza intima e profonda del nostro genere, si riferisce alla percezione che abbiamo di noi stessЗ e a quanto ci sentiamo allineatЗ o meno con le caratteristiche dei diversi generi. 

L’espressione di genere invece riguarda il modo in cui presentiamo il nostro genere al mondo, ad esempio attraverso la nostra immagine estetica, i vestiti, gli atteggiamenti e molto altro. In altre parole, l’espressione di genere è parte della nostra immagine sociale e di come quest’ultima viene percepita dallЗ altrЗ in base alle norme di genere.

Non sempre abbiamo la possibilità o il desiderio di esprimere liberamente il nostro genere, ad esempio potremmo trovarci in contesti in cui non ci sentiamo sicurЗ di essere accettatЗ. Esprimere o meno l’identità di genere non impatta sulla legittimità della propria identità di genere. 

Ruoli di genere: il proprio posto nella società

Il ruolo sociale è l’insieme dei modelli di comportamento attesi, degli obblighi e delle aspettative che convergono su una persona che ricopre una determinata posizione sociale.

In una società in cui è forte e dominante il concetto di binarismo, i ruoli di genere sono i ruoli che uomini e donne dovrebbero occupare in base al loro sesso assegnato alla nascita.

I ruoli di genere sono il prodotto delle interazioni tra le persone e il loro ambiente e forniscono le indicazioni su quale sia il tipo di comportamento appropriato a seconda della propria appartenenza di genere. 

Crescendo impariamo a mettere in atto le aspettative richieste dal ruolo di genere corrispondente al genere che ci è stato assegnato. Ad esempio, il ruolo maschile prevede coraggio e intraprendenza, quindi le persone assegnate maschi alla nascita vengono incentivate affinchè diventino coraggiose e intraprendenti. Col tempo la maggior parte delle persone tendono ad adottare i tratti associati al loro genere e iniziano così a identificarsi in essi. 

Tra le varie aspettative associate al genere a livello culturale ci sono anche quelle che riguardano l’attrazione. In generale si dà per scontato che le persone siano per la maggior parte eterosessuali. L’orientamento affettivo però – come vedremo nel prossimo paragrafo – è una dimensione indipendente dal genere.

Orientamento affettivo: chi ci attrae e perchè.

L’orientamento affettivo indica verso quale genere o generi è indirizzata l’attrazione ed è il risultato dell’interazione di fattori biologici, genetici, ambientali e culturali. Anche l’orientamento affettivo è considerato una dimensione fluida e potenzialmente modificabile nel tempo.

Per attrazione si intende una forma di desiderio sperimentato nei confronti di un’altra persona, caratterizzato da un forte coinvolgimento fisico ed emotivo.

Esistono diversi tipi di attrazione: romantica, sensuale, sessuale, estetica e platonica. Ognunǝ di noi può provare nessuna, alcune o tutte le forme di attrazione nei confronti di nessuno, uno o più generi.

Parlare solo di orientamento sessuale è limitante in quanto le persone possono provare diversi tipi di attrazione nei confronti di diversi generi. Esistono ad esempio persone asessuali, che quindi non provano attrazione sessuale nei confronti di altre persone, e biromantiche, che quindi provano attrazione romantica nei confronti di persone di più generi. Esistono anche persone bisessuali, che quindi provano attrazione sessuale per persone di più generi, e omoromantiche, che quindi provano attrazione romantica solo per persone del loro stesso genere. Le combinazioni possono essere infinite.

La relazione tra le componenti dell’identità sessuale

L’identità di genere, l’espressione di genere, il sesso biologico e l’orientamento affettivo sono dimensioni indipendenti, ovvero non sono collegate tra di loro. 

L’orientamento affettivo delle persone non determina la loro espressione o il loro ruolo di genere, la loro espressione di genere non è determinata dalla loro identità di genere e la loro identità di genere non è determinata dal loro sesso biologico e così via. 

Tutte le dimensioni dell’identità sessuale possono influenzarsi, ma nessuna di queste ne determina altre.

Conoscere le componenti dell’identità sessuale e la loro reciproca interazione ci permette di comprendere meglio noi stessЗ e le altre persone, in particolare tuttЗ coloro che appartengono alla comunità LGBTQIAPK+. La consapevolezza è il primo  – fondamentale  – passo per ridurre i pregiudizi ed essere inclusivЗ.

Bibliografia

  • West, C., & Zimmerman, D. H. (1987). Doing gender. Gender & society, 1(2), 125-151.
  • Rudman, L. A., & Glick, P. (2021). The social psychology of gender: How power and intimacy shape gender relations. Guilford Publications.
  • Barker, M. J., & Iantaffi, A., (2019). Life ins’t binary: on being both, beyond, and in-between. Jessica Kingsley Publisher.

Per approfondimenti

Foto in copertina di Sharon McCutcheon su Unsplash

Perché scriviamo inclusivo.

Quello che segue è un tentativo di spiegazione sul perché sia necessario l’uso di un linguaggio inclusivo e sul perché noi – professionistз della salute mentale, divulgatorз, formatorз e articolistз – riteniamo sia doveroso applicarlo alla nostra attività – dal singolo articolo al colloquio psicologico.

L’intento è quello di dare delle risposte a domande che riteniamo possano emergere sia per critica sia per semplice curiosità, nella speranza che il contenuto possa anticipare o rispondere a questi legittimi bisogni.

·        Perché abbiamo scelto un linguaggio inclusivo?

Asterisco è nata con il desiderio di creare un ponte tra la ricerca scientifica nel campo delle diseguaglianze e dell’inclusività e la vita di tutti i giorni. Qualsiasi intervento Asterisco metta in atto ha una portata sociale. Il nostro focus è quello di creare un terreno condiviso in cui nessunə debba sentirsi esclusə, dalla formazione nelle scuole alle dirette su Instagram. Anche la lettura può essere un veicolo di esclusione. Ecco perché abbiamo deciso di rendere tutte le informazioni che veicoliamo (sia scritte sia parlate) il più accessibili possibile. Per questo abbiamo scelto di scrivere i nostri articoli rinunciando alla grammatica di genere.

·        Cos’è la grammatica di genere?

La grammatica di genere consiste nell’utilizzo, all’interno di una lingua, di nomi e declinazioni che hanno un’assegnazione di genere maschile o femminile. Con “assegnazione di genere” intendiamo tutte quelle forme grammaticali (come aggettivi, pronomi, articoli determinativi e indeterminativi) che riflettono il genere di un individuo in questione. È una grammatica tipica delle lingue latine come quella italiana. Numerosi studi nel corso degli anni hanno dimostrato come nei paesi in cui la lingua è particolarmente genderizzata sia minore l’uguaglianza di genere. Questo perché il modo in cui esprimiamo la nostra lingua riflette il modo in cui pensiamo e vediamo il mondo.

·        In italiano abbiamo il maschile plurale che vale per tutti i generi. Perché non vi accontentate di quello?

La nostra è una scelta che parte dalla consapevolezza che ogni nostra produzione (dall’articolo al colloquio psicologico) ha un impatto sociale. Questo impatto sociale per noi implica una grande responsabilità che accogliamo a pieno come professionistз.

Il maschile plurale non è sufficiente affinché l’effetto della grammatica di genere scompaia. Anzi, potremmo dire l’esatto contrario.

·        Cos’è il linguaggio genderless?

Il linguaggio genderless potremmo tradurlo come linguaggio senza-genere, ovvero che non ha riferimenti al genere degli individui a cui sono riferiti nomi, aggettivi e altre declinazioni. Chiaramente è un problema applicarla alla lingua italiana ed è il motivo per cui la ricerca in questo campo è molto attiva. Noi vogliamo essere parte di questa ricerca e abbiamo scelto di sperimentare l’utilizzo della schwa (sostituendo le declinazioni maschili e femminili con “ə” al singolare e “з” al plurale) .

·        Perché abbiamo scelto proprio la schwa?

La scelta su quale soluzione adottare non è stata semplice. Inizialmente avevamo adottato l’asterisco (da qui deriva anche il nome della nostra associazione), ma in tempi recenti abbiamo optato per questa nuova alternativa. Siamo consapevolз dei limiti di questa scelta, ma siamo estremamente ricettivз al cambiamento in questo campo. Qualora si presentasse una soluzione migliore della schwa la adotteremo ponderandone i pro e i contro.

·        Come devo leggere la schwa negli articoli?

La lettura è libera ed è uno dei grandi vantaggi della grammatica genderless. Chiunque può leggere le declinazioni con la schwa come vuole. A differenza del parlato, la lettura – che sia a mente o ad alta voce – permette una certa libertà di interpretazione. Nulla toglie che chi legge possa decidere di usare la declinazione maschile plurale. Il nostro consiglio è di approfittare della lettura dei nostri articoli per familiarizzare con la sonorità della schwa, che attualmente è percepita ancora come una nota stonata nella melodia che è la nostra lingua. Noi siamo convintз che sia solo l’effetto di un’abitudine che ancora non abbiamo fatto nostra.

·        Chi siete voi per cambiare la lingua italiana?

Può sembrare una frase fatta, ma la lingua italiana si è modificata nel corso dei secoli. L’italiano che parliamo oggi è ben diverso da quello parlato durante l’Impero Romano o quello dopo l’introduzione del volgare dantesco. Dante, così come tantз altrз autorз della letteratura hanno cambiato la lingua – attraverso nuove sonorità, neologismi o addirittura nuove regole grammaticali – in funzione di un bisogno espressivo. Noi non vogliamo assolutamente sostituire o paragonarci allз grandз autorз che hanno definito e plasmato l’identità del nostro amato Paese, ma vogliamo prenderci la briga di esprimere il nostro bisogno di inclusione, dove nessunə è esclusə, a cominciare dal modo in cui veicoliamo questa inclusione.

·        Ma chi se ne frega! Siamo tuttз uguali!

Se fossimo veramente tuttз uguali avremmo tuttз lo stesso accesso alle risorse sanitarie e scolastiche. Nessunə direbbe mai che quest’anno non può permettersi di andare in vacanza. Nessunə soffrirebbe d’ansia o di depressione. Tuttз vedremmo il nostro corpo in maniera accettabile. Nessunə avrebbe delle preferenze di acquisto. Tuttз voteremmo lo stesso partito.

Non siamo tuttз uguali. Ci sono persone che hanno dei redditi superiori ad altre. Ci sono persone che hanno opportunità di lavoro migliori di altre. Ci sono persone che hanno la possibilità di guarire in maniera più efficace ed efficiente di altre. Ci sono persone che appartengono a uno o più gruppi sociali che sono più fortunati/avvantaggiati di altri. Chi fa parte di gruppi socialmente svantaggiati – i cosiddetti gruppi minoritari – deve subire ogni giorno il peso della propria appartenenza, soprattutto se quest’ultima non è modificabile. L’appartenenza a gruppi svantaggiati ha il potere di diventare un marchio indelebile sulle persone che non si vedono riconosciute o che vengono discriminate – apertamente o meno.

Il linguaggio genderizzato ha il potere di incrementare la forza di quel marchio indelebile. Un linguaggio genderizzato costituisce un debito da cui è difficile uscire, così come la persona che ha un reddito basso difficilmente riesce a uscire da un circolo in cui è costretta a chiedere dei prestiti per sopravvivere. Noi vogliamo limitare il più possibile questo debito sociale. Vogliamo rendere più leggero il peso dell’appartenenza e vogliamo che davvero tuttз possano usare uguale energia mentale per usufruire dei nostri contenuti.

Noi non vogliamo renderci responsabilз nell’alimentare queste differenze. Siamo consapevolз della fatica di chi appartiene a questi gruppi. Moltз dellз socз e dellз articolistз di Asterisco appartengono a uno o più di questi gruppi. Il minimo che possiamo fare è intervenire affinché tutto questo possa essere circoscritto il più possibile, al limite delle nostre capacità.

·        La schwa non è valida perché non include le persone dislessiche o disgrafiche e non vedenti o ipovedenti.

Utilizzare la schwa ha necessariamente dei limiti. Le persone dislessiche e disgrafiche – cioè che hanno difficoltà nella lettura e scrittura e quindi nel riconoscimento specifico di alcune lettere – si troverebbero in difficoltà nel distinguere “ə” da una “e” o “з” da un tre. Le stesse difficoltà però vengono riscontrate nella distinzione tra “p” e “q” o tra “b” e “d”. Ciò non è mai stato sufficiente per determinare l’eliminazione di queste consonanti dall’alfabeto italiano.

Anche le persone ipovedenti o non vedenti potrebbero trovare delle difficoltà nell’uso di strumenti di lettura automatica. È un limite che riguarda primariamente l’aspetto tecnologico. Per questo speriamo che la ricerca nel campo della lettura automatica possa presto trasformare questo attuale limite in una risorsa futura.

·        Questa scelta linguistica non rischia di diventare una barriera per qualcunə?

L’utilizzo della schwa o di qualsiasi altra soluzione inclusiva ha il rischio di non essere conosciuta o condivisa da tuttз con la possibilità di apparire altezzoso o classista. La nostra è una scelta ponderata sulla consapevolezza che alcunз possano essere allontanatз a priori dalla fruizione dei nostri articoli. La speranza di Asterisco è di riuscire a raggiungere tuttз utilizzando canali diversi e trovando – di volta in volta – il modo più inclusivo possibile per dialogare con le persone avvicinandole, dove possibile, all’importanza di un linguaggio attento all’impatto e al peso che questi hanno sull’appartenenza a gruppi minoritari.

Bibliografia:

  • Jost, J. T., & Banaji, M. R. (1994). The role of stereotyping in system‐justification and the production of false consciousness. British journal of social psychology, 33(1), 1-27.
  • Prewitt-Freilino, J. L., Caswell, T. A., & Laakso, E. K. (2012). The gendering of language: A comparison of gender equality in countries with gendered, natural gender, and genderless languages. Sex roles, 66(3), 268-281.
  • Rudman, L. A., & Phelan, J. E. (2010). The effect of priming gender roles on women’s implicit gender beliefs and career aspirations. Social psychology.
  • Mullainathan, S., & Shafir, E. (2014). Scarcity: The true cost of not having enough. Penguin books.

Per approfondimenti: