L’orologio biologico: un mito da sfatare

Ancora oggi tantissime donne quando immaginano il proprio futuro, fin da bambinЗ, contemplano la genitorialità come aspetto – e talvolta obiettivo – centrale nella propria vita. 

Anche se negli ultimi anni il desiderio di genitorialità ha lasciato spazio ad altri aspetti della vita, quali ad esempio lo studio, la carriera, la soddisfazione personale ecc., moltissime donne sentono ancora la pressione di «riuscire a sistemarsi e a fare un figlio entro i 35 anni». 

Questa preoccupazione spesso sottende una credenza che prende il nome di “orologio biologico”.

Esattamente l’orologio biologico che cos’è?

Comunemente con “orologio biologico” ci si riferisce al fatto che la fertilità femminile non è perenne e che, ad un certo punto, la possibilità di avere unǝ figliǝ si riduce notevolmente. 

Dal punto di vista biologico, in effetti, la fertilità declina con il passare del tempo  – oltre una certa età – è molto più difficile riuscire a concepire unǝ figliǝ.

La questione dell’orologio biologico – come comunemente inteso a livello culturale – però è più complessa rispetto al mero piano biologico e sottende degli importanti elementi di pregiudizio e discriminazione.

Moira Weigel, nel suo libro “Labor of Love: the invention of dating”, analizza il concetto di orologio biologico partendo dalla sua origine. 

Originariamente questo termine si utilizzava in ambito scientifico e si riferiva ai ritmi circadiani di sonno veglia. Esso è stato estrapolato dall’ambito scientifico ed è stato associato per la prima volta al tema della fertilità femminile solo nel 1978, in un articolo del Washington Post scritto da un opinionista, Richard Cohen.

Questa definizione di orologio biologico – ovvero il fatto che la fertilità femminile ha una data di scadenza a breve termine – si è diffusa velocemente nell’opinione pubblica, radicandosi nella nostra cultura. 

Ancora oggi, infatti, la fertilità delle persone socializzate femmine viene accostata all’orologio biologico e a essa sono associate diverse credenze, spesso errate. 

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A tal proposito la psicologa Jean M. Twenge, in un articolo del 2013, ha mostrato che queste statistiche derivano da uno studio del 2004 che si basa su dati riguardanti le nascite in Francia raccolti tra il 1670 e il 1830, dunque non rappresentativi rispetto alla possibilità di essere fertili o meno nel contesto sociale attuale. Secondo Twenge questo è uno degli esempi più spettacolari di come i media possano fallire nell’interpretare e riportare i dati delle ricerche scientifiche.
«In altre parole, a milioni di donne viene detto quando dovrebbero rimanere incinta basandosi su statistiche di un periodo precedente a elettricità, antibiotici e trattamenti per la fertilità» (Twenge)

Con questo articolo non si vuole mettere in discussione l’incidenza dell’età sulle possibilità riproduttive, si riconosce infatti che vi sono ampie evidenze scientifiche a supporto della correlazione tra aumento di età e declino di fertilità.

Ciò che risulta interessante però è che a fronte di un’equa incidenza di infertilità e una simile diminuzione di fertilità di tutti i generi in relazione all’età, il concetto di orologio biologico sia associato solo al genere femminile, senza prendere in esame la condizione maschile.
A tal proposito si riporta quanto scritto da Moira Weigel in un suo articolo sul The Guardian:«la storia dell’orologio biologico è una storia riguardante scienza e sessismo». Secondo l’autrice è infatti evidente come le assunzioni riguardanti il genere possano strumentalizzare la divulgazione delle ricerche scientifiche per servire fini sessisti.

Come mai il declino della fertilità, a livello culturale, è solo una questione femminile?

Nel sopracitato articolo di Cohen pubblicato nel 1978 sul Washington Post emerge un tono critico riguardo l’emancipazione lavorativa femminile. In effetti il periodo in cui l’articolo di Cohen è stato scritto,, è proprio la fine degli anni ’70, momento in cui la presenza femminile nel mercato del lavoro statunitense è fortemente in crescita e la nuova definizione di orologio biologico ha cominciato a diffondersi e a fissarsi nella nostra cultura. 

Per comprendere la diffusione del concetto di “orologio biologico” legato alla fertilità femminile è importante sottolineare che l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro degli anni ‘70 ha messo in discussione l’ordine sociale in quanto ha inciso direttamente sulle rappresentazioni e le prescrizioni di genere.  Secondo tale “ordine sociale”, le donne infatti si dovrebbero occupare solamente della vita privata, della casa e della famiglia, lasciando agli uomini le relazioni con il mondo esterno e il compito di procacciare le risorse per il sostentamento della famiglia (Rudman e Glick, 2010). 

Il concetto dell’orologio biologico permette di contrastare la crisi dei ruoli sociali tradizionali rinforzando una specifica pressione sociale sulle donne nei confronti del presunto desiderio istintivo di maternità, alimentando in esse il timore che potrebbero in futuro pentirsi di non aver avuto figlЗ e il senso di colpa per aver preferito la carriera alla maternità. 

Sostanzialmente l’orologio biologico diventa un’arma per contrastare gli effetti dell’emancipazione femminile.

Potremmo interpretare questi eventi come un esempio di backlash (Rudman, 1998), ovvero una forte reazione della società ai tentativi di emancipazione femminile per ristabilire lo status quo. In altre parole la società spinge verso una maggiore prescrittività del ruolo tradizionale femminile, secondo cui le donne sono fatte per essere madri e non lavoratrici, contrastando i tentativi di raggiungere l’eguaglianza di genere.

«Ci sono cose di cui noi uomini non dovremo mai preoccuparci. Come il ticchettare dell’orologio biologico. […] Qui è dove finisce la liberazione femminile» (Cohen)

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Come si evince dalla citazione riportata, nel suo articolo, Cohen non perde occasione per evidenziare il fatto che il discorso riguardante la fertilità sia un problema esclusivamente femminile: sono le donne a doversi preoccupare della propria fertilità e a dover progettare la propria vita, privata e lavorativa, in base alla volontà di diventare madri. Successivamente, una volta divenute madri, la maggior parte del lavoro di cura sarà a carico loro (Belotti, 1973).

Pensare che il tema della genitorialità riguardi solo ed esclusivamente le donne e non sia in alcun modo dipendente dalla volontà maschile è profondamente negativo per tutti i generi

Questo tipo di narrativa, infatti, continua a rinforzare gli stereotipi alla base del sessismo e delle differenze di genere. Le donne sono “communal” , ovvero hanno l’obiettivo di entrare in relazione con le altre persone, quindi spetterà loro il compito di occuparsi della prole; gli uomini , invece, sono “agentic”, ovvero sono focalizzati al raggiungimento dei proprio obiettivi personali e alla soddisfazione dei propri bisogni, quindi si occuperanno di lavorare e procacciare le risorse (Bakan, 1966; Fiske, Cuddy e Glick, 2007).

Gli stereotipi e le prescrizioni sociali tradizionali di genere riducono le possibilità di immaginarsi e di diventare ciò che si desidera, perseguendo i propri obiettivi. 

Ad esempio, secondo i ruoli tradizionali, alle donne non è concesso di essere competenti, competitive e assertive e agli uomini non è concesso di essere affettuosi, sensibili e poco ambiziosi. Tali stereotipi non impattano unicamente sul genere femminile e quello maschile, ma anche sulle persone non binarie che vengono invisibilizzate, invalidate e discriminate. 

In una società sessista si continuerà a considerare con sospetto un uomo che afferma la propria volontà di lasciare il lavoro per rimanere a casa ad occuparsi dellЗ propriЗ bambinЗ e si continuerà a giudicare negativamente una donna che decide di ricorrere alla sterilizzazione perché ama il proprio lavoro ed è certa che di bambinЗ non ne vorrà mai.

Sicuramente è da considerare il fatto che l’articolo di Cohen risale al 1978. Oggi molti uomini ricoprono ruoli di cura genitoriale e/o domestica e molte donne lavorano. Nonostante questo siamo molto lontanЗ dal raggiungimento della parità di genere, basti pensare alle differenze nei congedi genitoriali (10 giorni per paternità e 5 mesi per maternità) o al gender gap in ambito lavorativo (differenze salariali e tasso di disoccupazione). 

Inoltre, le pressioni sociali e i pregiudizi sessisti continuano a impattare negativamente sulle persone di ogni genere, ogni qualvolta esse decidano di distanziarsi dai ruoli tradizionali.

Letture consigliate

  • Volpato, C. (2013). Psicosociologia del maschilismo. Gius. Laterza & Figli Spa.
  • Rudman, L. A., & Glick, P. (2021). The social psychology of gender: How power and intimacy shape gender relations. Guilford Publications.
  • Belotti, E. G. (1973). Dalla parte delle bambine. Feltrinelli.

Bibliografia

  • Bakan, D. (1966). The duality of human existence: an assay on psychology and religion. Rand MacNally.
  • Belotti, E. G. (1973). Dalla parte delle bambine. Feltrinelli.
  • Cohen, R. (1978). The Clock Is Ticking For the Career Woman. The Washington Post https://www.washingtonpost.com/archive/local/1978/03/16/the-clock-is-ticking-for-the-career-woman/bd566aa8-fd7d-43da-9be9-ad025759d0a4/?utm_term=.54e1781a98d7
  • Fiske, S. T., Cuddy, A. J., & Glick, P. (2007). Universal dimensions of social cognition: Warmth and competence. Trends in cognitive sciences, Vol. 11, No. 2, 77-83.
  • Momigliano, A. (2016). L’amore ai tempi dell’orologio biologico. Rivista Studio http://www.rivistastudio.com/standard/orologio-biologico/
  • Rudman, L. A. (1998). Self-promotion as a risk factor for women: The costs and benefits of couter-stereotypical impression management. Journal of Personality and Social Psychology, 74, 629–645.
  • Rudman, L. A., & Glick, P. (2010). The social psychology of gender: How power and intimacy shape gender relations. Guilford Press
  • Twenge, J. M. (2013). How long can you wait to have a baby? The Atlantic. https://www.theatlantic.com/magazine/archive/2013/07/how-long-can-you-wait-to-have-a-baby/309374/
  • Weigel, M. (2016). The foul reign of the biological clock. The Guardian https://www.theguardian.com/society/2016/may/10/foul-reign-of-the-biological-clock