Monogamia: è davvero l’unica soluzione?

Uno dei costrutti sociali meno indagati nella nostra cultura è la monogamia. Il fatto che le persone siano monogame è quasi sempre una considerazione consolidata come ovvia, sia in psicologia che nella cultura generale.

DiversЗ autorЗ hanno evidenziato come, nelle culture occidentali odierne, la monogamia sia uno degli aspetti considerati più normali e ideali nella sessualità umana.

La monogamia nella nostra cultura è percepita come perenne e naturale, tuttavia, una rapida rassegna della storia indica che questo stile relazionale è un fenomeno piuttosto recente. Osservando le diverse culture nel mondo nei vari periodi storici emerge infatti che le pratiche monogame in realtà non sono la norma ma un’eccezione. Nonostante ciò, la monogamia non solo viene considerata come normale, ma anche una scelta di tipo ottimale.  

Anche in ambito psicologico molte prospettive implicano, più o meno esplicitamente, che le relazioni monogame siano lo standard o l’ideale. Queste convinzioni permangono nonostante i tassi di tradimento in relazioni definite monogame si attestino tra il 60 e il 70 per cento. 

Tra gli stili relazionali diversi dalla monogamia vi sono le non-monogamie consensuali, che identificano l’insieme delle forme in cui è presente un accordo per cui lЗ partner definiscono accettabile avere più di una relazione sessuale o romantica contemporaneamente.

Ricerche recenti indicano che le relazioni non-monogame consensuali sono una categoria eterogenea, che include una serie di accordi di relazione relativi a: vari tipi di rapporti intrapresi, gradi di trasparenza nella condivisione, termini specifici di condotta concordati o la loro mancanza.

Uno degli elementi che ha il potenziale di impattare negativamente sul modo in cui viene considerato questo gruppo di stili relazionali è la mononormatività.

Pieper e Bauer nel 2005 hanno coniato il termine mononormatività per indicare il sistema di credenze che stabilisce la coppia monogama (ed eterosessuale) come naturale, ottimale e moralmente più elevata. La conseguenza è una stigmatizzazione delle alternative non-monogame che vengono percepite come innaturali, disfunzionali o addirittura perverse.

Alcuni dei bias mononormativi presenti a livello culturale sono ad esempio l’ideale dell’anima gemella, il vero amore, l’idea che l’esclusività sessuale sia una misura dell’impegno relazionale, la credenza che avere unǝ singolǝ partner sessuale e romanticǝ sia una scelta matura. L’influenza di questo tipo di credenze mononormative ha il potenziale di impattare negativamente sul benessere delle persone che si riconoscono come non-monogame consensuali, privilegiando involontariamente le relazioni monogame rispetto ad altri stili relazionali e stigmatizzando di conseguenza i gruppi sociali associati alla pratica delle non-monogamie.

Le indagini sulla percezione delle relazioni monogame in confronto alle relazioni non-monogame confermano questa influenza, evidenziando che le relazioni monogame vengono percepite come più impegnate, passionali, degne di fiducia e sessualmente soddisfacenti.

Secondo una ricerca di Kolmes e colleghЗ del 2006 si può ragionevolmente sostenere che le persone non-monogame soffrano a tutti gli effetti di pregiudizi, incomprensioni ed emarginazione talvolta maggiori rispetto alle persone appartenenti ad altre minoranze LGBTQIA+.

Alla luce di questi dati sembrerebbe sensato chiedersi se non possa essere utile promuovere la validità di altri stili relazionali. In primo luogo per ridurre il pregiudizio negativo e la stigmatizzazione; in secondo luogo perchè, secondo le ricerche, le relazioni non-monogame consensuali risultano essere di fatto funzionali e soddisfacenti. Ad oggi mancano prove della superiorità della monogamia, in particolare per quanto concerne l’adattamento relazionale, i benefici sessuali, la salute sessuale e i benefici per lЗ bambinЗ. Eppure difficilmente, sia nella pratica clinica sia a livello culturale, si promuovono stili relazionali alternativi alla monogamia.

Il percorso verso la riduzione della mononormatività nella pratica clinica e sessuologica in Italia è ancora lungo. Il primo passo è sicuramente l’ampliamento della ricerca sul tema, a partire dalle indagini sulla prevalenza degli stili relazionali non-monogami, di cui ancora non disponiamo.

Un’approccio inclusivo alle relazioni non-monogame consensuali passa in primo luogo attraverso l’acquisizione di una profonda consapevolezza rispetto alle proprie credenze e ai propri pregiudizi, ottenibile considerando non solo gli aspetti individuali, ma anche gli aspetti socioculturali e politici che co-occorrono nella costruzione delle rappresentazioni su ciò che viene considerato “sano e normale”, sia nellǝ professionista che nellЗ clientЗ. 

L’assenza di occasioni formative specialistiche nei percorsi di studi in ambito psicologico e sessuologico è un elemento critico che rischia di mantenere e reiterare assunzioni e bias normativi inconsapevoli, nonostante la volontà da parte dellǝ professionista di porsi in modalità non giudicanti.

L’assenza di proposte formative sufficienti impatta negativamente sul benessere psicologico dellЗ clienti non-monogamЗ stessЗ, che si trovano tutt’ora a incorrere in microaggressioni e discriminazioni anche all’interno dello spazio clinico.

Questo articolo ha voluto evidenziare alcune delle principali tematiche emerse dalla ricerca in relazione alla mononormatività, nella speranza di proporre spunti di riflessione utili per ampliare le proprie conoscenze sul tema e avvicinarsi al tema delle relazioni non-monogame consensuali con uno sguardo non giudicante e attento alla convivenza delle diversità.

Letture consigliate

  • Fern, J. (2020). Polysecure: Attachment, trauma and consensual nonmonogamy. Thorntree Press LLC. (in inglese)
  • Le guide Step by Step di @sessuologia. Oltre la coppia monogama: poliamore e fluidità relazionale. https://sessuologia.store/products/guida-poliamore
  • Barker, M. J., & Iantaffi, A. (2019). Life isn’t binary. Jessica Kingsley Publishers. (in inglese)

Bibliografia

  • Barker, M., & Langdridge, D. (2010). Understanding non-monogamies. New York, NY: Routledge.
  • Conley, T. D., Matsick, J. L., Moors, A. C., & Ziegler, A. (2017). Investigation of consensually nonmonogamous relationships: Theories, methods, and new directions. Perspectives on Psychological Science, 12(2), 205-232.
  • Conley, T. D., Moors, A. C., Matsick, J. L., & Ziegler, A. (2013). The fewer the merrier?: Assessing stigma surrounding consensually non-monogamous romantic relationships. Analyses of Social Issues and Public Policy, 13(1), 1-30.
  • Fern, J. (2020). Polysecure: Attachment, Trauma and Consensual Nonmonogamy. Thorntree Press LLC.
  • Major, B., & O’Brien, L. T. (2005). The social psychology of stigma. Annual Review of Psychology, 56, 393–421.

Nove falsi miti sul sesso anale

Il sesso anale è definito come l’insieme di tutte le pratiche sessuali che coinvolgono l’area ano-rettale e perineale adiacente all’ano. 

Nonostante oggi sia una forma di sessualità più sdoganata rispetto al passato, è però ancora pervasa da una serie di falsi miti e fraintendimenti. Alla base di questi fenomeni vi è senza dubbio una mancanza di dati a livello della letteratura internazionale, che tende a non considerare o addirittura stigmatizzare tale tipologia di rapporto sessuale. Basti pensare che i disturbi e le problematiche del sesso anale non sono stati sistematizzati dalla comunità scientifica e non sono stati ancora inseriti in alcun manuale diagnostico, lasciando molte persone prive di professionistз espertз su queste tematiche. 

Foto di Laura Tancredi da Pexels

Di contro, la maggior parte delle informazioni sul rapporto tra piacere anale e salute ano-rettale sono oggi trasmesse da media, siti web e libri di espertз attraverso articoli non basati su alcuna evidenza scientifica, ma su indicazioni aneddotiche o sul senso comune. È necessario quindi liberare il sesso anale dai falsi miti, per permettere a tuttз coloro che desiderano provarlo di avere una visione più obiettiva di questa pratica.

#1 «Il sesso anale è una moda recente!» 

La storia del sesso anale è una storia che va oltre l’ultimo secolo. Nonostante l’attenzione dei media e della stessa comunità scientifica rispetto alle pratiche di sesso anale sia andata aumentando negli ultimi decenni come conseguenza della rivoluzione sessuale, il sesso anale esiste da sempre ed è stato riportato dagli antropologi in un ampio numero di culture. Sebbene al grande pubblico siano state presentate opere artistiche del sesso anale “omosessuale” (come, ad esempio, le raffigurazioni sulle terrecotte greche, le satire di Marziale o le stampe shuga giapponesi), in realtà questa pratica è stata testimoniata anche in coppie eterosessuali fin dagli albori, come dimostrano i vasi erotici della cultura pre-moderna Moche del Perù.

Hadrian and Antinous in Egypt. Plate VII from “De Figuris Veneris”

#2 «Il sesso anale è solo per i gay!»

Culturalmente e storicamente il sesso anale è sempre stato associato alla comunità omosessuale maschile. Da diversi studi emerge che i rapporti anali sono estremamente diffusi nella popolazione generale in tutto il mondo, indipendentemente da età, identità di genere od orientamento sessuale. Il 30-40% degli uomini e delle donne che si riconoscono come cisgender ed eterosessuale riferisce di aver avuto almeno un rapporto anale nella vita, con una prevalenza che sale al 71-96% negli uomini cisgender gay e nelle persone transgender. Mancano ancora studi specifici della reale prevalenza di questa pratica nella popolazione lesbica, sebbene sia frequentemente riportata dalle donne che si rivolgono allз sessuologз clinicз.

#3 «Il sesso anale è un tipo di sesso penetrativo!»

La penetrazione non è un elemento indispensabile per il sesso anale.

Secondo una definizione ampia fornita da Jack Morin, il sesso anale comprende qualsiasi pratica sessuale (penetrativa o meno) che coinvolge la zona ano-rettale e il perineo adiacente, tra cui rientrano:

  • Sesso anale penetrativo con fallo, cioè con qualsiasi organo od oggetto volto alla penetrazione (es. pene, protesi, sex toys come nel pegging);
  • Fingering ano-perianale, cioè la stimolazione della regione anale e del perineo attraverso le dita;
  • Rimming o anilingus, cioè il sesso orale eseguito a livello perianale e anale;
  • Fisting anale/handballing, cioè il sesso penetrativo anale con una o due mani;
  • Sessualità anale atipica, che comprende tutte quelle attività sessuali anali meno diffuse nella popolazione generale (es. zoofilia anale, clismafilia).

#4 «Il sesso anale è doloroso!»

Dagli studi clinici emerge che fino a 1/3 delle persone che fanno sesso anale prova un dolore moderato-intenso durante la penetrazione

Purtroppo si sa ancora troppo poco sulle sindromi dolorose pelvico-anali, che comprendono due condizioni spesso compresenti tra loro:

  • Anismo: contrazione antalgica ano-rettale, con impossibilità al rilasciamento dei muscoli striati anali e del pavimento pelvico posteriore, che può compromettere il piacere anale e la defecazione;
  • Anodispareunia: dolore alla penetrazione anale associato spesso all’ansia anticipatoria del dolore.

Un’adeguata preparazione anale, comprensiva di pulizia, rilassamento tattile e psichico e utilizzo di lubrificanti per questa zona priva di idratazione naturale  – a differenza della vagina e della vulva –  ma anche una penetrazione controllata e rispettosa riducono l’esperienza dolorosa, permettendo alla persona di provare la sensazione di piacere anale. Lo stato psicologico della persona (in particolare l’ansia prestazionale) incide notevolmente sulla percezione dolorifica che può avere della penetrazione, come anche la presenza di patologie ano-rettali pregresse, come emorroidi e ragadi. In quei casi in cui il dolore persiste, nonostante le comuni accortezze, è sempre importante fermarsi e rivolgersi a unə professionista. Non è normale provare dolore, in nessuna condizione ed è diritto della persona poter accedere a terapie per limitarlo.

#5 «Il piacere anale è dovuto alla stimolazione della prostata!»

La sensazione di piacere e il raggiungimento dell’orgasmo nel sesso anale non dipendono solo dalla stimolazione prostatica, come dimostrano le testimonianze di persone prive di prostata per costituzione anatomica o per interventi chirurgici.Il piacere anale è infatti determinato da una serie di stimolazioni dirette o indirette di zone anatomiche fortemente innervate, tra cui rientrano la prostata, il clitoride e la zona clitorido-uretro-vaginale (CUV) e le fibre nervose della parete anale e del pavimento pelvico, derivate dal nervo pudendo.

#6 «Il sesso anale è sporco ed è richiesta una pulizia intensa!»

L’ano costituisce la parte terminale del canale digerente e tra le sue funzioni ha l’eliminazione dei prodotti di scarto ingeriti attraverso la defecazione. Ciò potrebbe rendere possibile che l’oggetto della penetrazione (pene, toys, mano) possa sporcarsi con residui fecali durante il sesso anale e ciò può generare estremo imbarazzo nellə partner ano-insertivə – impropriamente dettə “passivə” – fino a inibire il desiderio di riprovare questa pratica. Una corretta preparazione anale con lavaggi anali, massaggio ano-perianale pre-penetrativo e una dieta ricca di fibre e povera di grassi può abbattere notevolmente questo rischio, ma non lo azzera del tutto. È quindi importante fare i conti con la possibilità di sporcare lə partner e che ciò è assolutamente normale e umano e non deve portarci a utilizzare pratiche di pulizia intensa che possono anche essere controproducenti o dannose per la salute rettale. L’importante è avere rispetto per se stessз, per il proprio corpo e per lə partner, facendo ricorso a un’igiene intima non eccessiva.

#7 «Il sesso anale fa venire emorroidi e ragadi!»

Questa credenza è sostenuta da diversi blog e siti anche di stampo medico, ma non è stato dimostrato da alcun articolo scientifico che il sesso anale sia un fattore di rischio o addirittura una causa per la patologia, come patologia emorroidaria o le ragadi anali. Appare infatti improbabile che un rapporto anale, con una corretta preparazione, un adeguato rilassamento anale e pelvico e un rispetto dellə partner ano-ricettivə, possa determinare queste patologie. È però vero che il sesso anale può peggiorare la presentazione clinica di una patologia emorroidaria o di una ragade già presenti, rendendo il rapporto anale più doloroso e aumentando il rischio di dolore e sanguinamento, motivo per cui sarebbe indicato astenersi dal rapporto recettivo almeno fino alla guarigione di queste condizioni.

#8 «Il sesso anale fa venire prolassi rettali e incontinenza fecale!»

Anche questa credenza viene spesso sostenuta da blog e siti scientifici, ma, sebbene la necessità di un numero più ampio di studi sull’argomento, sembra che l’evenienza di un prolasso rettale – cioè la discesa delle pareti rettali verso il basso, con ostruzione alla defecazione – sia estremamente poco comune in un rapporto anale consensuale con un fallo di dimensioni medie e con una corretta preparazione anale. Per quanto riguarda l’incontinenza rettalecioè la perdita della funzione di continenza da parte dello sfintere anale –  solo uno studio del 2016 ha evidenziato una maggiore incidenza di questa patologia rettale in persone che fanno abitualmente sesso anale, Diverso è il caso di alcune pratiche anali meno convenzionali (es. fisting, utilizzo di corpi estranei rettali, zoofilia anale, rosebudding) in cui dilatazioni eccessive e continue del complesso ano-rettale possono favorire la discesa delle pareti anali e/o una perdita di funzionalità sfinterica nel corso del tempo, soprattutto se non eseguite con una corretta preparazione e da persone esperte. Anche in questi casi è comunque necessario che la comunità scientifica accumuli ulteriori dati in merito, dato che queste pratiche tendono ad arrivare all’attenzione clinica solo in caso di conseguenze spiacevoli.

#9 «Il sesso anale fa venire il tumore anale!»

Diversi studi hanno mostrato un legame tra sesso anale ricettivo e sviluppo di cancro anale in entrambi i generi, con una correlazione positiva tra frequenza di rapporti anali e rischio tumorale. Secondo diversз autorз, il sesso anale può predisporre al cancro anale attraverso la trasmissione di Papillomavirus (HPV) ad alto rischio tumorigenetico, che possono essere trovati nell’83-95% di queste neoplasie. A prova di ciò, il vaccino quadrivalente anti-HPV ha mostrato un alto tasso di efficacia nella prevenzione della neoplasia anale. Detto questo, la comunità scientifica dovrebbe considerare il rapporto anale come un fattore confondente e non come un fattore causale diretto del cancro anale, perché il vero elemento patogeno è l’infezione da HPV ad alto rischio e non il rapporto stesso. È importante sottolineare quindi che il rapporto anale non deve essere considerato un fattore di rischio per il cancro anale di per sé, ma solo se praticato senza metodi di protezione  – il cosidetto barebacking –  da parte di portatorə di infezione da HPV. Bisogna perciò battersi per la diffusione dell’utilizzo di metodi di protezione nel sesso anale e un accesso più semplice al vaccino per tuttз, di modo da liberare la sessualità anale da questo falso mito.

È importante vedere il  sesso anale con uno sguardo nuovo e obiettivo, basato su evidenze scientifiche, con l’obiettivo di permettere a tutte le persone incuriosite di approcciarsi a questa forma di sessualità senza pregiudizi e con la giusta consapevolezza 

Il sesso anale, per sua natura, supera genitalità e sesso biologico, genere, orientamento sessuale e romantico, relazionalità. Ci sembra giusto che superi anche tutti i falsi miti che si porta con sé. 

Bibliografia:

  • Leichliter, J.S., Chandra, A., Liddon, N., Fenton K.A., & Aral S.O. (2007). Prevalence and correlates of heterosexual anal and oral sex in adolescents and adults in the United States. Journal of Infectious Diseases, 196:1852–9. https://doi.org/10.1086/522867.
  • Wronski, K. (2012). Etiology of thrombosed external hemorrhoids. Postępy Higieny i Medycyny Doświadczalnej, n. 66:41–4.
  • Broholm, M., Møller, H., & Gögenur, I. (2015) Seksuel dysfunktion er hyppig hos patienter med analfistler og analfissurer. Ugeskr Laeger, n. 177:2–4.
  • Palefsky, J.M., Giuliano, A.R., Goldstone, S., Moreira, E.D., Aranda, C., & Jessen, H. (2011). HPV Vaccine against Anal HPV Infection and Anal Intraepithelial Neoplasia. New England Journal of Medicine, n. 365:1576–85. https://doi.org/10.1056/nejmoa1010971.
  • Markland, A.D., Dunivan, G.C., Vaughan, C.P., & Rogers, R.G. (2017). 2009 – 2010 National Health and Nutrition Examination Survey. The American Journal of Gastroenterology, n. 111(2):269-74. 

Per approfondire:

Oltre il binario: le definizioni dell’identità sessuale 

Per parlare in modo efficace della comunità LGBTQIAPK+ è fondamentale parlare di identità sessuale. È importante partire quindi dalle basi, definendo con precisione le dimensioni fondamentali per entrare con consapevolezza nel meraviglioso mondo delle Gender, Sexuality, Relationship Diversities. 

L’identità sessuale è una componente dell’identità di ogni essere umano. In letteratura è stata descritta come un costrutto multidimensionale composto da sesso biologico, identità di genere, ruolo di genere e orientamento sessuale. 

L’identità sessuale emerge dalla complessa interazione tra fattori biologici, psicologici, sociali e culturali. Essa è fluida, ovvero può cambiare nel corso della nostra vita, e può essere o meno in linea con il nostro sesso biologico, il nostro comportamento sessuale o il nostro orientamento sessuale effettivo.

Il sesso biologico come spettro

Quando parliamo di sesso biologico, solitamente pensiamo ai maschi e alla femmine. In realtà la situazione è più complessa.

A livello scientifico il sesso biologico si riferisce alle differenze fisiche tra individui maschi, femmine o intersessuali ed è definito da almeno dieci diversi marcatori biologici, come ad esempio cromosomi, gonadi,espressione genica, tipi e livelli di secrezione ormonale, ecc.

Il sesso biologico viene considerato uno spettro, ovvero una dimensione continua in cui maschi e femmine non sono divisi arbitrariamente in due categorie separate e indipendenti. Nello specifico il sesso biologico presenta quella che in statistica viene definita una distribuzione bimodale, ovvero la maggior parte delle persone ha caratteristiche sessuali esclusivamente maschili o esclusivamente femminili. A queste si aggiungono persone che si trovano al centro dello spettro, tra il sesso maschile e il sesso femminile. 

Rappresentazione grafica della distribuzione bimodale del sesso biologico in cui si evidenzia lo spazio esistente tra maschile e femminile e rappresentazione di una distribuzione binaria - errata - in cui non esiste lo spazio tra maschile e femminile e quindi non viene considerata l'intersessualità
La distribuzione bimodale comprende l’intersessualità nello spettro di sesso biologico. Il modello binario non è realmente rappresentativo della diversità sessuale umana. 

L’interesessualità è il termine ombrello usato per identificare tutte quelle persone che si trovano al centro dello spettro del sesso biologico e presentano caratteristiche sessuali che non sono esclusivamente maschili o femminili. Esistono molte forme di intersessualità, alcune di queste sono immediatamente visibili, ad esempio a causa di genitali non conformi, altre emergono solo con esami clinici specifici.

Nonostante queste evidenze, ancora oggi a livello culturale spesso si tende a considerare il sesso umano come una dimensione esclusivamente binaria composta da due gruppi differenti e separati tra loro: maschi e femmine. 

Generalmente il sesso viene assegnato alla nascita sulla base di poche caratteristiche fisiologiche, in particolare l’osservazione dei genitali e – in alcuni casi – la composizione cromosomica. Questa modalità di assegnazione può risultare parzialmente errata, se non del tutto, e reiterare un forzato binarismo sessuale in cui le persone intersessuali rischiano di subire medicalizzazioni atte a correggere ciò che culturalmente viene considerato non conforme, cioè “fuori norma”.

Quando viene assegnato  il sesso a una persona appena nata si sta anche – più o meno consapevolmente – contribuendo a costruire le aspettative su come quella persona dovrà essere e comportarsi in base al suo essere femmina o maschio, in altre parole le stiamo assegnando un genere.

Il genere: definizione, identità ed espressione

Il genere viene definito come un costrutto bio-psico-sociale in cui le diverse componenti hanno una relazione e un’interazione complessa.

Le componenti biologiche si riferiscono in particolare al funzionamento cerebrale e ormonale. Le componenti psicologiche si riferiscono a come percepiamo e sperimentiamo  il nostro genere, ovvero alla cosiddetta  identità di genere. Le componenti sociali riguardano il modo in cui percepiamo il genere a livello sociale attraverso norme, ruoli ed espressioni nelle diverse culture e nei diversi periodi storici.

Anche il  genere può essere concettualizzato, come il sesso biologico in termini di spettro e fluidità. Nel mondo esistono sia culture che considerano il genere come binario –  esistono solo uomini e donne –, sia culture che contemplano l’esistenza di più generi oltre al maschile e al femminile. 

A differenza di quanto si pensi, il genere e il sesso biologico sono due cose diverse, e non sempre coincidono. A livello culturale infatti le differenze biologiche tra i sessi sono percepite come fortemente corrispondenti a differenze di genere profonde e immutabili: ad esempio se una persona è femmina, allora è donna e sarà gentile e accogliente. Questa corrispondenza forzata viene definita in letteratura come essenzialismo psicologico e ciò comporta una percezione di genere basata unicamente sulle differenze biologiche tra maschi e femmine.

Il genere però non necessariamente corrisponde al sesso biologico della persona. Ad  esempio esistono persone assegnate “femmine” alla nascita che si riconoscono nel genere maschile o viceversa. Esistono anche persone non binarie, che non si riconoscono in nessun genere, che si riconoscono in una combinazione dei due generi, che si riconoscono in un terzo genere o in più generi.

L’identità di genere riguarda la consapevolezza intima e profonda del nostro genere, si riferisce alla percezione che abbiamo di noi stessЗ e a quanto ci sentiamo allineatЗ o meno con le caratteristiche dei diversi generi. 

L’espressione di genere invece riguarda il modo in cui presentiamo il nostro genere al mondo, ad esempio attraverso la nostra immagine estetica, i vestiti, gli atteggiamenti e molto altro. In altre parole, l’espressione di genere è parte della nostra immagine sociale e di come quest’ultima viene percepita dallЗ altrЗ in base alle norme di genere.

Non sempre abbiamo la possibilità o il desiderio di esprimere liberamente il nostro genere, ad esempio potremmo trovarci in contesti in cui non ci sentiamo sicurЗ di essere accettatЗ. Esprimere o meno l’identità di genere non impatta sulla legittimità della propria identità di genere. 

Ruoli di genere: il proprio posto nella società

Il ruolo sociale è l’insieme dei modelli di comportamento attesi, degli obblighi e delle aspettative che convergono su una persona che ricopre una determinata posizione sociale.

In una società in cui è forte e dominante il concetto di binarismo, i ruoli di genere sono i ruoli che uomini e donne dovrebbero occupare in base al loro sesso assegnato alla nascita.

I ruoli di genere sono il prodotto delle interazioni tra le persone e il loro ambiente e forniscono le indicazioni su quale sia il tipo di comportamento appropriato a seconda della propria appartenenza di genere. 

Crescendo impariamo a mettere in atto le aspettative richieste dal ruolo di genere corrispondente al genere che ci è stato assegnato. Ad esempio, il ruolo maschile prevede coraggio e intraprendenza, quindi le persone assegnate maschi alla nascita vengono incentivate affinchè diventino coraggiose e intraprendenti. Col tempo la maggior parte delle persone tendono ad adottare i tratti associati al loro genere e iniziano così a identificarsi in essi. 

Tra le varie aspettative associate al genere a livello culturale ci sono anche quelle che riguardano l’attrazione. In generale si dà per scontato che le persone siano per la maggior parte eterosessuali. L’orientamento affettivo però – come vedremo nel prossimo paragrafo – è una dimensione indipendente dal genere.

Orientamento affettivo: chi ci attrae e perchè.

L’orientamento affettivo indica verso quale genere o generi è indirizzata l’attrazione ed è il risultato dell’interazione di fattori biologici, genetici, ambientali e culturali. Anche l’orientamento affettivo è considerato una dimensione fluida e potenzialmente modificabile nel tempo.

Per attrazione si intende una forma di desiderio sperimentato nei confronti di un’altra persona, caratterizzato da un forte coinvolgimento fisico ed emotivo.

Esistono diversi tipi di attrazione: romantica, sensuale, sessuale, estetica e platonica. Ognunǝ di noi può provare nessuna, alcune o tutte le forme di attrazione nei confronti di nessuno, uno o più generi.

Parlare solo di orientamento sessuale è limitante in quanto le persone possono provare diversi tipi di attrazione nei confronti di diversi generi. Esistono ad esempio persone asessuali, che quindi non provano attrazione sessuale nei confronti di altre persone, e biromantiche, che quindi provano attrazione romantica nei confronti di persone di più generi. Esistono anche persone bisessuali, che quindi provano attrazione sessuale per persone di più generi, e omoromantiche, che quindi provano attrazione romantica solo per persone del loro stesso genere. Le combinazioni possono essere infinite.

La relazione tra le componenti dell’identità sessuale

L’identità di genere, l’espressione di genere, il sesso biologico e l’orientamento affettivo sono dimensioni indipendenti, ovvero non sono collegate tra di loro. 

L’orientamento affettivo delle persone non determina la loro espressione o il loro ruolo di genere, la loro espressione di genere non è determinata dalla loro identità di genere e la loro identità di genere non è determinata dal loro sesso biologico e così via. 

Tutte le dimensioni dell’identità sessuale possono influenzarsi, ma nessuna di queste ne determina altre.

Conoscere le componenti dell’identità sessuale e la loro reciproca interazione ci permette di comprendere meglio noi stessЗ e le altre persone, in particolare tuttЗ coloro che appartengono alla comunità LGBTQIAPK+. La consapevolezza è il primo  – fondamentale  – passo per ridurre i pregiudizi ed essere inclusivЗ.

Bibliografia

  • West, C., & Zimmerman, D. H. (1987). Doing gender. Gender & society, 1(2), 125-151.
  • Rudman, L. A., & Glick, P. (2021). The social psychology of gender: How power and intimacy shape gender relations. Guilford Publications.
  • Barker, M. J., & Iantaffi, A., (2019). Life ins’t binary: on being both, beyond, and in-between. Jessica Kingsley Publisher.

Per approfondimenti

Foto in copertina di Sharon McCutcheon su Unsplash