Molto spesso capita di sentire opinioni di persone che affermano che il fisico non è la prima cosa che si nota o che si tiene in considerazione nella scelta del partner. Tralasciando il fatto che la scelta del partner possa essere più o meno ragionata con ipotesi più o meno oggettive, davvero non importa l’aspetto fisico? Facciamo un passo indietro. Prima di considerare se la persona che abbiamo di fronte sia un possibile candidato per essere il nostro partner, è bene incontrarla o, ancora prima, vederla. A prescindere che ci sia anche solo un’interazione verbale, prima di tutto quella persona è per noi uno stimolo visivo ricco di informazioni. Queste informazioni sono molto preziose e ci permettono a priori di farci delle impressioni, o meglio, di formulare giudizi. In altre parole: pregiudizi. Questi pregiudizi, che possono avere una valenza sia positiva che negativa, sono il frutto dell’evoluzione dell’essere umano. Per tutta la durata della lettura teniamo presente che stiamo parlando di un processo che avviene prima dell’incontro effettivo con il prossimo. Per esempio abbiamo costantemente pregiudizi anche quando si fa shopping o si va a correre. È un processo imprescindibile della natura umana.
Facciamo un esempio. Immaginiamodi di essere un fan accanito di un partiolare cantante e di vedere in lontananza un individuo che indossa una maglietta con la faccia della star. A prescindere da quanti metri vi separano, dal momento in cui il nostro nervo ottico ha captato quell’immagine, il nostro cervello ha già giudicato quella persona in maniera positiva. Immaginiamo ora – con immenso sforzo – di essere un italiano medio e che la parte occipitale del nostro cervello – area deputata all’elaborazione visiva – abbia elaborato l’immagine di un individuo dalla pelle nera. In tempo zero avremo già generato giudizi sulla sua natura di etnia inferiore, che ci viene a togliere il lavoro, ecc… Quindi perché è importante l’informazione visiva sull’aspetto delle persone? Perché ci permette di estrapolare informazioni e, di conseguenza, generare impressioni.
Cosa sono le impressioni?
L’impressione o, più correttamente, la formazione di impressioni, è un processo attraverso il quale gli individui si creano un’immagine di altri individui singoli o in gruppi. Queste impressioni consistono in una serie di aggettivi positivi e negativi che, insieme, concorrono a una valutazione unitaria. Riprendiamo l’esempio dell’italiano medio: appena vedremo l’individuo dalla pelle nera, immediatamente faremo associazioni con aggettivi come “sporco”, “ignorante”, “ladro”, “puzzolente”, ecc… Tutti questi aggettivi sono stati richiamati dalla sola informazione visiva, ecco perché è un pre-giudizio.
Quella che è stata descritta è definita in letteratura come “teoria implicita di personalità”. Questa è uno schema – un pattern standard di elaborazione di informazioni – che permette di estrapolare una serie di aggettivi dopo averne captato anche uno solo. Immaginiamo di assistere a un’entusiasmante rimpatriata tra vecchi compagni di liceo. Tra il vociare, e le battute di basso spirito, scrutiamo in un angolo una persona che non parla con nessuno. All’istante il vostro cervello assocerà quell’immagine a un aggettivo, come “timido”. Automaticamente, da quell’aggettivo, ne estrapoliamo di altri, come un fazzoletto dal cilindro: “solitario”, “antipatico”, “asociale”, “single”, “sfigato”. In una frazione di secondo abbiamo visto una persona apparentemente timida ed elaborato la sua intera personalità seduti comodamente dal nostro tavolo.
Ma perché ci basiamo sulle prime impressioni se sono false?
Le prime impressioni sono statisticamente false perché si appoggiano a schemi mentali precostituiti. In altre parole estrapoliamo aggettivi in base a prototipi di individui creati dall’esperienza di vita e dalla cultura in cui siamo immersi. In una parola: stereotipi. Ecco perché le personalità implicite che elaboriamo contengono tutti aggettivi solo positivi o solo negativi. Un solo aggettivo, per esempio “timido” porta con sé una serie di aggettivi coerenti con il prototipo che noi abbiamo della persona timida ed ecco perché se vediamo una persona con la pelle nera si attivano tutti quegli aggettivi negativi. È una coerenza determinata anche dalla cultura, infatti esistono altri prototipi di personalità che in occidente non esistono. Per esempio in Cina c’è la personalità “Shi Gù”: un individuo con senso pratico, che ha il culto della famiglia, ben inserito nella società e riservato. Questi ultimi due aggettivi in occidente non hanno alcuna correlazione e risulta anche difficile immaginarsi un prototipo avente quelle due caratteristiche contemporaneamente.
Un altro motivo per cui ci basiamo sulle impressioni è che queste sono il frutto dell’evoluzione umana. La formazione di impressioni ha, infatti, due caratteristiche che la rendono un processo fondamentale per la sopravvivenza. È un processo rapido e inconsapevole che prevede un bassissimo costo energetico; solo attraverso una ricerca approfondita di informazioni – molto costosa in termini di energia e motivazione personale – è infatti possibile farsi un’idea più complessa delle persone. Riprendendo l’esempio del ristorante, per farsi un’immagine più veritiera del personaggio timido avremmo dovuto avere molta motivazione a conoscerlo ed essere disposti a focalizzare le nostre energie su di lui. Questo processo è inoltre fondamentale per pianificare il comportamento potenziale: se incontro una persona apparentemente spaventosa, avendo estrapolato una sua personalità, sarò pronto ad evitarlo, mentre se al ristorante vedo un tizio timido potrò ignorarlo perché potenzialmente non minaccioso.
Pensate ancora che tutto questo non abbia a che fare con la scelta del partner? Pensate davvero che l’essere umano si sia evoluto fidandosi delle persone brutte? È possibile ipotizzare che nella preistoria ci si mantenesse lontani da persone con un brutto aspetto perché potenzialmente minacciose. Tutto questo si ripercuote nella cultura, come ad esempio nelle storie raccontate ai bambini, con le più classiche favole che hanno come “cattivi” anche persone “brutte”.
Tutto ciò non vi convince? Per fortuna la scienza ci dà una mano.
Alexander Todorov, ricercatore dell’università di Princeton, ha scoperto come basti anche solo riprodurre determinate caratteristiche facciali su modelli 3D per far percepire questi modelli come più o meno affidabili o dominanti. In pillole, Todorov ha ricostruito alcuni pattern facciali in base ad alcune caratteristiche come la grandezza della bocca, la larghezza del naso, l’inclinazione delle sopracciglia e l’ampiezza degli occhi. La sua ricerca ha dimostrato come bastino le informazioni facciali per inferire istantaneamente – in un decimo di secondo – il tratto associato. I volti ricostruiti, infatti, sono stati valutati dai partecipanti ai suoi esperimenti in termini di alta/bassa affidabilità e alta/bassa dominanza sociale.
Quindi, secondo questa ricerca, esistono prototipi di visi positivi e negativi a cui più facilmente si attribuisce, per esempio, fiducia, e di conseguenza tutti gli attributi positivi che il prototipo di persona fiduciosa si porta dietro. Ecco perché ci facciamo fregare dalle apparenze. Fa parte della nostra natura, ed è un piccolo prezzo da pagare che ci portiamo dietro dalla preistoria.
Dott. Stefano Daniele Urso